“Semiramide” apre il quarantennale del ROF 2019


di Andrea Zepponi

17 Ago 2019 - Commenti classica, Musica classica

Con un nuovo allestimento di “Semiramide” apre la 40a stagione del Rossini Opera Festival di Pesaro. La messa in scena della più “rossinista” delle opere rossiniane, per la regia di Graham Vick, è stata quanto meno discutibile. Ottime invece le scelte musicali, a cominciare dalla direzione di Michele Mariotti, vero trionfatore della serata.

Prim’atto sinfonia gessetto colorato su fondo nero di lavagna in alto a sinistra sole giallo arancione con raggi a raggiera nuvolotta azzurra a gessetto balcone con Azema sotto sole porticine laterali gruppo di yogi con trecce rasta magi di Oroe guru sì… gran nume… t’intesi pannello centrale snodabile gigantografia di uno sguardo accigliato colore verde a squame passerella a destra lettino celeste con sopra peluche orsacchiotto azzurro pancino bianco con sopra maglietta a strisce azzurre orizzontali bambino dorme sopra coro di diplomatici maschi in frac nero in fondo coro femminile dietro in divisa nera cappellini hostess new world order, bu bu settete le facce dipinte con bandiere del mondo Ah! ti vediamo ancor! Resa ci sei! Idreno faccia dipinta a bandiera anche lui sfavillante costume da principe indiano rosa verde dorato brillante pietre preziose turbante con pennacchio puntale di strass Azema principessa del sangue di Belo già in costume da principessa indiana bianco paillettes orecchini a cascata Assur occhiali scuri frac a strisce soprabito nero decorazione dorata a sei stelle Semiramide giacca camicia bianca calzoni tacchi (donna manager in carriera non ritrova più il figlioletto sul lettino) ah già il sacro fuoco è spento bambino corre al centro del palcoscenico accende spegne una fiammella gli yogi battono mani e piedi sul pavimento del palco tutti giù per le terra responso oracolo antica lettera papiracea o in pergamino de pano con laccetti Mitrane divisa da kgb ufficiale mediorientale in nero colbacco eccomi alfine in Babilonia Arsace capelli sciolti tailleur nero listato verde calzoni e tacchi cassetta dei giocattoli azzurra con stelline astri corona rutilante e spada di latta pannelli ai lati del palcoscenico grandi grandi grandi lavagne disegnate con gessetto scolastico figura che sorride a bocca all’insù con capelli lunghi e sottana un coltello sanguinante in mano Arsace innamorata di Azema disegna col gesso un cuore sulla lavagna Assur bulletto omofobo lo trasforma col gesso in un muso di maiale Arsace lo cancella stizzita Assur le tocca la coscia lei indispettita perché lei ama Azema spera di sposarla, passerella Idreno si dichiara ad Azema ora a destra ora a sinistra se lei va lì, lui va di là e se lei va di là, lui va di qua bel raggio lusinghier tante Raffaella Carrà che cullano altrettanti bambolotti in panni azzurri Semiramide fa delle carezze ad Arsace e lei pare stupirsi sedie Kartell cerulee alle più care immagini orsacchiotto azzurro gigantesco pancione bianco e maglietta a strisce azzurre orizzontali capolino da dietro le quinte gigantografia con la faccia di Christopher Plummer (?) tagliata altezza occhi naso occhio vuoto centrale a sipario Semiramide vuole sposare lei l’Arsace donna i Magi battono mani e piedi sul pavimento tutti giù per terra il fantasma di Nino esce da dietro la gigantografia vestito di azzurro dipinto di azzurro il viso con una striscia rossa sugli occhi bastone azzurro in mano per gli indù i morti sono azzurri e mica siamo a Babilonia si mette a sedere e Semiramide si mette a sedere sulle sue gambe rispetta le mie ceneri Nino torna dentro tutti si confondono in preda a panico per il palcoscenico, second’atto due pannelli a lavagna a sx disegno gigante a gessetto di figura con sottana sorridente bocca all’insù con in mano un coltello sanguinante profondo rosso a dx figura riversa con i calzoni corona gialla in testa le lacrime dagli occhi trattini di gesso bianco bocca all’ingiù una ferita sul cuore fiore amore che spande tanto tanto tanto sangue rosso gessetto una palma disegnata alta le fronde colorate rosa verde marrone salotto moderno divano lungo circolare con penisola carrello con liquori Semiramide si siede sulle gambe di Assur lui la palpeggia sul divano lei si schermisce resiste desiste lui si ferma quella ricordati notte di morte lei gli stringe i testicoli lui minaccia tagliarle la gola con bottiglia di liquore spaccata poi si taglia longitudinalmente il braccio con la bottiglia rotta lei attinge il suo sangue birimbo birambo io canto così passerella yogi guru Arsace foglio in pergamino de pano infule filatterii in sí barbara sciagura ciccia qua e ciccia là yogi coro coro Azema Idreno coro coro bandiere bandiere Arsace Semiramide biribim biribam giorno d’orrore e di contento due donne mamma e figlia si ritrovano il dì già cade. Ah! sia l’ultimo per Arsace fantasma azzurro paura terrore brrr grrr Assur sale scende la scaletta gospa cippa lippa come fosse antani coro di scamiciati in bretelle si sporcano petto faccia con tinta rossa regicidio femminicidio su passerella sotterraneo sì sotterraneo no niente buio tutto alla luce del sole gessetto colorato su fondo nero di lavagna in alto a sinistra giallo arancione con raggi a raggiera nuvolotta azzurra a gessetto balcone sotto sole porticine laterali gruppo di yogi con trecce rasta magi di Oroe guru coro un traditor, con empio ardir Semiramide pigiamino di seta bianco ghiaccio l’usato ardir Ninia, ferisci! ahhh la figura coronata disegnata a gessetto sotto il grande grande grande occhio verde con sguardo squame verdi spande tanto tanto tanto sangue rosso gessetto Semiramide giù Arsace su Assur qua Oroe là coro coro finale lieto bocca all’insù bocca all’ingiù: regia di Graham Vick, scene e costumi di Stuart Mann, luci di Giuseppe Di Iorio.

La più “rossinista” delle opere rossiniane, la Semiramide di Rossini ha aperto la 40a stagione alla Vitrifrigo Arena di Pesarol’11 agosto nel nuovo allestimento in coproduzione con l’Opéra Royal de Wallonie-Liège in occasione del quarantennale del ROF. Riproporre l’opera mastodontica del Pesarese è un’impresa per tutti, spettatori compresi che sono chiamati all’estasi di quattro ore e oltre di musica sublime in una struttura drammatica e lirica, sintesi di tutta la carriera italiana del genio rossiniano: la sua esperienza napoletana, nutrita di sperimentalismo con opere straordinarie come Otello, Donna del lago e Maometto II, ritrova l’ordine regolare delle forme neoclassiche accese di belcanto virtuosistico dell’iniziale Tancredi (1813) che ben dieci anni prima di Semiramide con lo stesso librettista Gaetano Rossi aveva segnato il destino artistico di Rossini. Ora, il congedo dall’opera italiana, assume il tono di una summa del belcanto e di un lascito ideale dove le architetture dalla simmetria perfetta e coerente privilegia le scene solistiche, ma realizza anche massicci pezzi d’insieme conferendo speciale rilevanza tragica al coro. Il percorso drammatico è compiuto e sublimato da un superiore distacco di fronte a passioni estreme e momenti di strazio sottesi alla trama, in cui l’elemento dionisiaco si mescola all’apollineo sotto forma di passione edipica e di uccisione dei congiunti, che vengono rappresentati con lo splendore del belcanto e senza cedimenti sentimentali anche dal punto di vista orchestrale: proprio ciò che venne rimproverato a Semiramide negli anni successivi da orecchie “miopi” che non vedevano quanto l’opera fosse profetica e come stesse influenzando l’orizzonte operistico ottocentesco anche solo attraverso la distanza che il main stream ottocentesco voleva mettere tra sé e le vertiginose altezze di questo melodramma, per non citare le innumerevoli influenze dirette esercitate ad esempio su Bellini e Verdi. La massima astrazione musicale è la cifra del rossinismo espresso consapevolmente dallo stesso Rossini in Semiramide che è la sua opera totale e richiede il massimo di perfezione e precisione formale dagli interpreti. A questo compito hanno risposto adeguatamente le forze musicali in campo: Salome Jicia nel title-rôle ha ristabilito con la sua vocalità piena di soprano lirico la giusta attribuzione di una parte ad una voce drammatica di agilità con tutte le risorse del belcanto e della espressione basata sulla flessibilità vocale che ha esibito colorature di spessore e rispettose nelle variazioni dell’equilibrio della tessitura reale, senza sbilanciamenti nella zona troppo acuta, per cui la Colbran non aveva più facilità, ma senza nulla togliere all’espansione di puntature e cadenze; la notevole presenza scenica nel gesto vocale e nella pronuncia italiana ha messo in evidenza la Jicia sopra gli altri cantanti al suo apparire in Di tanti regi e popoli e poi in Bel raggio lusinghier,ma sostanzialmente il suo carisma è rimasto indiscusso per tutta l’esecuzione; accanto a lei il mezzosoprano armeno VarduhiAbrahamyan dalle notevoli forze in Arsace ha avuto buon gioco negli ampi spazi della Vitrifrigo per spessore vocale che tuttavia tradiva qualche forzatura proprio nella zona grave in alcuni attacchi un po’ manchevoli se non venivano appoggiati in gola: i recitativi dell’opera tutti sostenuti dall’orchestra non perdonano, si sa. Risolvendo le agilità con il dovuto spessore, la Abrahamyan ha preferito puntare sull’ampiezza vocale piuttosto che sul variare pletoricamente la ripresa delle cabalette: nel duetto del second’atto A te, ferisci non mi sembra di aver sentito variazioni nel couplet di Arsace Tuserena intanto il ciglio. Applauditissima ha riscosso il maggior successo dopo la protagonista con cui ha duettato in nitido ed eloquente amalgama vocale. Che il festival puntasse sulla qualità delle voci e sul loro spessore, lo diceva anche la densa vocalità del soprano Martiniana Antonie in Azema che ha dato spessore sensuale al personaggio di fila. Nel comparto maschile ha brillato l’Idreno di Antonino Siragusa attestato su acuti fluviali e invasivi in senso buono; il tenore ha delineato un personaggio volitivo e deciso, ben lontano dalle tenerezze di tanti, troppi contraltini che lo hanno interpretato spesso come un cicisbeo, ha sbalzato le due arie Ah dov’è il cimento del primo atto con la dovuta baldanza e quella del second’atto La speranza più soave con lo slancio di acuti ben appoggiati sul fiato e una agilità netta, senza compromessi. L’Assur del basse-baritone Nahuel Di Pierro hagiocatole sue carte soprattutto sul piano del colore e del timbro piegato ad un gesto vocale incisivo ma anche rivolto più a Donizetti che a Rossini: la agilità da basso nobile o cantante rossinianorichiederebbe un superiore sbalzo delle agilità, ma l’interprete ha ottenuto il suo successo personale grazie al forte profilo scenico e a una particolare comunicativa con il pubblico. In fase sensibile è parso invece l’Oroe di Carlo Cigni, basso valoroso, in questa occasione piuttosto castigato da un velo di stanchezza che gli precludeva una più sgranata agilità; la notevole e intatta ampiezza vocale è stata comunque la sua carta vincente. Non ultimi il Mitrane di Alessandro Luciano e l’ombra di Nino del basso Sergey Artamonov hanno corredato il cast di voci spiccate e ben rappresentate in senso timbrico e da ottima dizione. Il coro del Teatro Ventidio Basso diretto dal M.o Giovanni Farina ha avuto la tinta adeguata e il giusto equilibrio timbrico per onorare tutte le evoluzioni dovute alla varia distribuzione sul palcoscenico e alla prossemica sonora con l’orchestra. Vero trionfatore e vero protagonista della serata è senza dubbio il M.o Michele Mariotti sul podio dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai: rampollo di spicco della tradizione esecutiva quarantennale del ROF e della sua ricca progenie di maestranze intellettuali-artistiche, ha unito una magistrale capacità concertante al carisma affinato per la tempistica suffragata da uno spiccato senso drammatico e teatrale distillando il tutto in una esecuzione fervida, mai stanca e sempre serrata in un dialogo organico con le parti strumentali e quelle vocali di coro e solisti; oltre quattro ore di pura bellezza musicale sono passate senza cedimenti di fronte a un pubblico estatico che l’ha applaudita sensibilmente.

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