“L’ultima Estate.Memorie di un mondo che non c’è più”, un libro di Marcello Filotei


di Flavia Orsati

27 Apr 2020 - Libri

Presentiamo il libro del giornalista e compositore Marcello Filotei L’ultima Estate. Memorie di un mondo che non c’è più, pubblicato da FAS editore, con un’introduzione di Papa Francesco.

“[…] Tira vento perché l’estate è finita. Finisce tutti gli anni,

poi ritorna. Questa volta no.”

Le ore 3:36 del 24 agostodel 2016 hanno segnato la fine di un mondo e la fine dell’estate.

La scossa di terremoto che ha distrutto Arquata del Tronto ha raso al suolo la piccola frazione, conosciuta da pochi, di Pescara del Tronto (nel romanzo Pdt), portando per sempre via l’illusione, per i suoi abitanti e per i suoi figli lontani, che si potesse vivere fuori dal tempo, per sempre o almeno un paio di settimane l’anno.

Dopo il sisma, infatti, molti luoghi isolati sono entrati a far parte del corrotto flusso della storia, ponendo fine all’estate e obbligando allo scontro con la realtà e alla fine della spensieratezza. L’unico modo, allora, è ricordare, prima con dolore, poi con malinconia, riappropriandosi, dopo la lancinante tristezza iniziale, di ciò che spetta di diritto, anche perché “In effetti Pdt era un luogo malinconico. Non triste, malinconico. Sentivi tutto il percorso della tua vita coincidere nel momento presente. Come se la tua intera esistenza fosse ferma davanti a te, con tutti i particolari in evidenza, dalla nascita fino al momento in cui la stavi contemplando”.

Marcello Filotei, giornalista e compositore, si è definito “romanziere involontario”: motore della sua volontà di narrare e far conoscere è stato l’amore per la propria terra, ormai perduta. Il suo scopo è stato quello di trasmettere, tramandare, ma anche tradire, spiega in una nota alla fine del libro: il verbo latino tradere, infatti, conserva in sé una bellissima ambivalenza semantica. Riportando alla luce grazie alle parole un mondo che non c’è più, “o meglio che per me non potrà più esserci”, Marcello si è affidato al ricordo, descrivendo non l’oggettività ma l’anima di Pescara, per lo meno per come l’ha percepita e vissuta lui, in un romanzo dai tratti fortemente lirici, ma anche contraddittorio, duro ed ironico. Come era la sua Pdt. Ed è questa sfumatura a rivelarsi fondamentale: c’è bisogno di rendere la poeticità del luogo delle origini, delle radici, un paese magico circondato dai misteriosi Monti Sibillini che, anche se verrà ricostruito, non sarà più lo stesso. Descrizioni oggettive, foto, magari se ne troveranno nel corso degli anni, si manterranno. Ma il genius loci no e la spensieratezza dell’estate nemmeno: “Non basterà ristrutturare tutto quello che c’era intorno alla panchina ora che siamo diventati grandi, tutti i giorni, anche d’estate. Sempre che l’estate esista ancora”.

Le figure che si susseguono nelle pagine del romanzo sono diverse: la coraggiosa sorella Alexandra, i più sfortunati madre e padre, i “tipi” che animavano il paese, personaggi surreali che solo nei piccoli centri sembravano contestualizzati e acquistavano, in virtù di assurdo e atemporalità, ragion d’essere. Così come coloro che sono andati via, pensando che la vita fosse altrove, struggendosi poi di un intenso desiderio di lasciare tutto, di tornare, rendendosi conto che la vera esistenza era lì, in quel microcosmo avulso dal resto del mondo.

Tutti coloro che hanno vissuto o hanno parenti in qualche paesino sperduto tra i borghi dell’Appennino e del Pre-Appennino hanno passato i momenti della loro infanzia tra chiese rurali ed orrende pale d’altare, ruderi di casolari dal sapore antico e sentieri erbosi che si inerpicavano nei boschi, albe e tramonti, sapendo che la vita coincideva con l’estate, con il profumo dell’erba tagliata, con l’afa di giorno e il vento fresco di notte. Un momento di ritrovo corale, durante il quale il paese tornava vissuto, rumoroso, pieno di vita, di giochi e di amori, destinati a durare, appunto, un’estate. Fuori dal tempo, come se per due settimane, due giorni o due mesi fosse tutto possibile. Il sisma ha distrutto tutto ciò, portando via la magia di nottate buie senza luce, quando la mancanza di corrente per un guasto o un’interruzione si tramutava in festa, di racconti spaventosi narrati all’aperto alla luce di un falò o in casa davanti al focolare. Tutto finito. Tutti grandi, di colpo.

Il volume, edito da Fas Editore, casa editrice ascolana indipendente, si è fregiato di diverse introduzioni autorevoli, una su tutte quella di Papa Francesco che, recatosi a Pescara poche settimane dopo il sisma, ha sentito la necessità di porre l’accento sul bisogno di universalità e sull’impellenza di conferire nuovamente un’anima a Pdt, cosa di cui si rende conto Marcello, verso la fine del racconto: “Qualche muro si sgretolava, altri cercavano di resistere, tutti dicevano la stessa cosa: siamo tutti attaccati, non esistono tante case, ce n’è una sola, si cade o si sta in piedi insieme”. Cosa non facile, in un momento in cui i rimasti, mutilati della loro vita e dei loro affetti, vivono a chilometri dalla loro casa natale o in casette provvisorie aspettando una ricostruzione che tarda ad arrivare, “Di certo c’è che questo è un romanzo che parla d’amore, dell’amore verso questi posti e verso questa gente”.

Una narrazione particolare ma che tende a rendersi eterea ed universale, come grido di angoscia di tanti che sanno che “Di queste case / non è rimasto / che qualche / brandello di muro” e che “Di tanti / che mi corrispondevano / non è rimasto / neppure tanto /”.

“Ma nel cuore / nessuna croce manca /”.

Come a dirci “È il mio cuore / il paese più straziato”.

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