Intervista a Gianni Ciuffini su Elvio Porta, descrittore di umanità


di Francesco Pascali

24 Feb 2019 - Commenti cinema

Il talento della fantasia è il bel titolo del documentario realizzato da Gianni Ciuffini su (e per) Elvio Porta, uno dei massimi commediografi e sceneggiatori della nostra epoca, che verrà proiettato lunedì sera, alle ore 21.00, presso la Casa del Cinema di Roma.
Elvio Porta è stato un autore che ha saputo magistralmente apportare il proprio contributo alla “commedia all’italiana”, collaborando con registi come Nanni Loy e Lina Wertmuller e disegnando le trame di pellicole indimenticabili: Cafè Express (1980), La stangata napoletana (1983), Mi manda Picone (1984), Pacco, doppio pacco e contro paccotto (1993). Presentato in anteprima lo scorso gennaio al Festival Capri Hollywood e realizzato con il contributo della Fondazione Film Commission della Regione Campania, è un racconto intelligente e appassionato di un uomo di cultura che ha segnato la storia del cinema e del teatro italiano, attraverso immagini di repertorio e testimonianze di amici cari e collaboratori: tra gli altri, Giuliana De Sio, Lina Sastri, Leo Gullotta, Enzo Decaro, Armando Pugliese, Lucio Aielllo.
Abbiamo rivolto alcune domande all’autore del documentario Gianni Ciuffini, ripercorrendo le fasi di lavorazione dell’opera, la storia di una lunga amicizia artistica, con qualche riflessione finale su quello che le storie di Elvio Porta ci hanno saputo raccontare così bene.

C’è stato qualcosa in particolare che Le ha fatto scattare la necessità di realizzare un omaggio a Elvio Porta?
Bisogna partire dal presupposto che Elvio Porta è stato un mio grande amico per più di vent’anni e quando se ne è andato, purtroppo, come succede spesso nel nostro mestiere, è stato un po’ dimenticato. Ho pensato quindi di rendere omaggio soprattutto alla sua opera, perché credo che sia una cosa dovuta; ho parlato con gli amici più cari di Elvio, invitandoli a partecipare al mio progetto, realizzato ovviamente senza fini commerciali. Tutti si sono mostrati molto disponibili.

Quale scelte ha fatto nell’impostazione della struttura narrativa?
È un racconto cronologico dell’opera di Elvio, che si avvale del contributo di immagini fornite dalle Teche Rai, dai produttori dei suoi film. Si parte dal teatro, perché il primo grande successo di Elvio è stato Masaniello (scritto con Armando Pugliese, che ne è stato il regista), che alla metà degli anni Settanta cambiò radicalmente la maniera di fare teatro. Da lì poi Elvio cominciò a scrivere per il cinema e il documentario ripercorre tutta la sua strada, alternando interventi di artisti che raccontano i propri sentimenti di amicizia nei suoi confronti.

C’è un film sceneggiato da Elvio Porta a cui è legato particolarmente?
Sono legato a tutti i film di Elvio, perché raccontano un tessuto sociale vero, rappresentandolo in una maniera eccezionale. È un tipo di racconto che oggi si è un po’ perso, ma allora le storie di Elvio si presentavano come una fotografia portentosa e realistica dell’Italia, soprattutto del Sud. Il film a cui posso personalmente essere più legato è di certo Cafè Express di Nanni Loy. È uno spaccato chiaro di come il popolo italiano del Sud fa quello che fa, pur di vivere.

Quali sono, a Suo parere, le caratteristiche peculiari della fantasia di Elvio Porta?
Elvio Porta era uno sceneggiatore con la “s” maiuscola, cosa che al giorno d’oggi purtroppo esiste sempre meno. Aveva una corposità dello scrivere, soprattutto nella descrizione dei personaggi e nei dialoghi, che nell’appiattimento narrativo del cinema contemporaneo si è perduta. È stato un grande descrittore dell’umanità: nei suoi film ci sono tanti affreschi caratteriali di personaggi disegnati con la matita. Credo siano questi gli aspetti che lo hanno distinto da tanti altri che anche hanno scritto grandissimi film, ma soffermandosi meno sulla descrizione dei personaggi e sui dialoghi.

Qual è l’eredità che Elvio Porta ci lascia attraverso le sue storie? C’è qualche possibile erede di Porta nel cinema italiano contemporaneo?
Purtroppo non mi sembra che ci siano eredi di Elvio Porta. Basta vedere i risultati disastrosi al box office dei film italiani: le commedie sono tutte uguali e appiattite, non c’è chi disegna con la matita la società e la gente non risponde con interesse. Negli ultimi anni, con l’invasione della televisione e dei suoi prodotti di poco valore, si è perso anche il gusto di valutare un tipo di spettacolo che prima invece c’era. Non si ripercorre più la strada di Elvio, cioè quella di raccontare l’Italia con toni che oscillano tra il drammatico e il comico; ci si concentra più che altro sulla violenza e la malavita, restituendo un’immagine limitata della società.  Quello che Elvio lascia è dunque qualcosa che attualmente sembra irripetibile.

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