Vincenzo Di Michele: “L’ultimo segreto di Mussolini”


di Giorgio Buratti

13 Lug 2015 - Libri


3788_copertina _fronte_web MusiculturaonlineVincenzo Di Michele
ritorna su un tema su cui si è scritto molto, il famigerato settembre ’43, con la prigionia del Duce a Campo Imperatore e la liberazione da parte dei nazisti. L’autore ricorre a testimonianze ‘secondarie’ trascurate dalla storiografia ufficiale, per smontare le tesi dei Governo italiano e tedesco. Ufficialmente il Governo Badoglio aveva fatto un accordo con gli Alleati per consegnare il Duce. In prigionia sul Gran Sasso, un colpo di mano dei tremendi paracadutisti tedeschi guidati dal generale Skorzeny, liberò il Duce portandolo prima a Monaco da Hitler e poi costituendo la RSI, per appoggiare l’esercito nazista nello scontro contro gli Alleati durante la guerra di liberazione.
Per Di Michele si tratta di una farsa propagandistica. Il governo Badoglio con accordo sottobanco consegnò il Duce ai Nazisti evitando così rappresaglie ed ottenendo il lasciapassare al Governo italiano con il Re Vittorio Emanuele III, per riparare a Brindisi.
Di Michele riesce a togliere l’aureola di eroicità dell’impresa di liberazione del Duce descritta dalla storia. La prima cosa è la reticenza del Governo italiano nel dare comunicazione dell’armistizio dell’8 settembre. Risulta che il corpo di guardia di Mussolini sul Gran Sasso non ne sapesse nulla. Durante la liberazione di Mussolini non fu sparato un colpo dagli agenti di custodia. Erano presenti addirittura anche i cineoperatori della TV tedesca UFA, in quella che sembra più una sceneggiata che un’impresa eroica dell’esercito nazista.
L’operazione ‘Quercia’, così fu chiamata la liberazione del Duce, viene messa sotto i colpi dell’ascia da una ricerca storica dettagliata e fondata su documenti e testimonianze oculari. Di Michele si pone due domande alle quali la storia non ha mai saputo o voluto rispondere: perché Badoglio non consegnò il Duce agli anglo-Americani? Quali ordini furono veramente dati al Corpo di Guardia?
Le vicende di Campo Imperatore sono narrate da tre personaggi, testimoni oculari (così andrebbe scritta la storia), Alfonso Nisi, Alfredo Petrucci e Francesco Riccioni, che soggiornarono a Campo Imperatore dal 7 al 12 settembre, giorno della consegna di Mussolini.
Nisi racconta di un Duce dimesso, col quale scambiava qualche partita a carte ed al quale raccontava che fino al mese prima tutti si dichiaravano fascisti, mentre adesso erano tutti partigiani: il trasformismo non è una novità di oggi. Queste partite a carte con il Nisi ed il Petrucci sono citate anche da Arrigo Petacco e Sergio Zavoli (Dal gran Consiglio al Gran Sasso). Altri storici citano questi particolari come Enzo Senesi, Richard Collier, Giorgio Bocca e Indro Montanelli, ma nessuno è partito da qui per smontare le teorie propagandistiche.
Importante è la figura del Tenente dei Carabinieri Alberto Faiola, preposto alla vigilanza del Duce. Grazie a lui, Di Michele smonta la tesi della liberazione, dimostrando che si è trattato di un rilascio di prigioniero ai nazisti. Molte furono le negligenze del Tenente nel tutelare Mussolini, incomprensibili se il Governo avesse tenuto a rispettare i patti con gli alleati.
Il 4 settembre Faiola invita i due amici a “Campo Imperatore a passare momenti lieti con un vecchio amico”… tutto ignorato dalla storiografia ufficiale. Addirittura l’Arma conferì un encomio ufficiale al Tenente!
Anche Storia Illustrata nel ’63 raccontò dell’amicizia del Faiola con Nisi e della causa che il Tenente intentò al vecchio amico per alcune sue rivelazioni scomode. In effetti, la presenza di Mussolini a Campo Imperatore non era affatto segreta, anzi poteva vedere e intrattenersi con chiunque. Così anche la leggenda del comandante dell’operazione ‘Quercia’ Otto Skorzeny risulta un’invenzione totale. Ridicolo addirittura il suo racconto della liberazione dove sorprese la guardia di Mussolini con la rapidità del suo intervento lasciandoli tutti inebetiti. Si narra ancora di 250 carabinieri armati fino ai denti pronti a difendere il Duce. Dalla testimonianza di Luigi Teofani, poliziotto presente alla guardia, ne risultano massimo 80, 50 carabinieri e 30 poliziotti divisi tra l’albergo (m 2100 slm) e la base della funivia a Fonte Cerreto (quota 1130).
Il Governo Badoglio viene anch’esso ridicolizzato, diviso tra il patto di consegnare il Duce agli Alleati e la paura di ritorsioni tedesche, un coniglio braccato da due cani: “Io dichiaro l’armistizio, se volete, ma i tedeschi saranno qui a tagliarmi la gola domani stesso”, furono le parole di Badoglio, riportate dallo storico Bruno Spampanato.
La stessa Rachele Mussolini si diceva capace di perdonare a tutti, anche agli omicidi di Benito, ma non riusciva a perdonare Badoglio. Come il Don Abbondio di Manzoni, i codardi spesso si comportano da criminali.
La tesi di Di Michele è che con l’armistizio aveva fatto un accordo con gli alleati per consegnare Mussolini, poi per timore fa un accordo segreto (non poteva certo metterlo per iscritto) con i vecchi amici tedeschi, sempre con la connivenza dell’altro ondivago Vittorio Emanuele III. La cosa ancor più grave, causata da questi due, ad armistizio annunciato, fu la fuga da Roma, lasciando senza ordini le truppe dell’esercito italiano (2 milioni di soldati), che si disciolsero rapidamente o vennero disarmate dai tedeschi.
Diversamente, forse, non avremmo assistito a vicende barbare contro la popolazione come S. Anna di Stazzema, Marzabotto, la guerra civile ed altro ancora. Ma la storia con i se e con i ma la sa solo Dio (V. Foa).
Per questo Di Michele traccia anche le scelte politiche dal 24 luglio al 12 settembre del Governo Badoglio, mettendo in luce le tante incongruenze. Il 25 agosto, come arlecchino servo di due padroni, aveva rinnovato la sua fiducia ufficiale al Reich in un incontro con il generale Von Rintelen.
Tornando a Mussolini, troppi sapevano della sua presenza a Campo Imperatore, abitanti e pastori ne parlavano liberamente in casa, al bar, al lavoro.
Il Corpo di Guardia sapeva già dalla mattina del 12 della liberazione-consegna del Duce e volendo potevano scappare per il versante teramano e tanti pastori sarebbero stati in grado di nascondere il Duce nei loro stazzi, disponendo anche dei cavalli per scappare più velocemente. Addirittura, alcuni soldati italiani soccorsero i tedeschi feriti nell’atterraggio con gli alianti. Il Governo Badoglio lo consegnò ai Tedeschi senza lasciar tracce di accordi, solo le testimonianze “secondarie”, quelle dei personaggi minori che purtroppo non entrano nei libri di storia.
A Di Michele l’onore di aver fatto parlare democraticamente i testimoni oculari presenti nel luogo che fanno sospettare di questo accordo scriteriato del Governo Badoglio. I Tedeschi ne approfittarono per esaltare la propaganda nazionale ed il Governo italiano ottenne il lasciapassare per Brindisi. Tutti salvarono la faccia. Mussolini serviva ai Tedeschi come unica figura capace di esprimere la continuità politica filonazista.
Il libro, che si può leggere con piacere, mai pesante, con un linguaggio alla portata di tutti, presenta tanti testimoni ricercati in modo capillare. Il figlio dell’agente che stava alla ricetrasmittente racconta che ricevettero l’ordine la sera dell’11 settembre, il giorno prima della liberazione del Duce, di rimuovere tutte le mitragliatrici dal tetto dell’albergo e mettere i cani in cantina.
Nelio Pannuti, oggi 90enne, sorvegliante personale di Mussolini, dichiara di non esserci stato nessun ordine di reazione né un minimo piano di difesa. Resta in lui l’impressione che quell’incursione fosse proprio concordata.
La conclusione di Di Michele, giustamente, è un invito a riscrivere la storia da Campo Imperatore alla RSI, anche per smontare quell’alone di eroicità del generale Skorzeny, considerato l’uomo più pericoloso del pianeta, cosa su cui anche i media hanno giocato creando il mito dell’eroe.
Di Michele non si limita a smontare la voce bestiale della propaganda. Va oltre, abbracciando il revisionismo di quel dato storico: l’accordo tra il Governo italiano e quello nazista per la consegna di Mussolini. Nessuno storico poteva raccontare la realtà degli ignobili intrighi tra italiani e tedeschi, e tutti si conformarono nel dichiarare solenne l’impresa di Skorzeny.
Il maggior rammarico è che la Storia ha pagato il prezzo delle menzogne raccontate dal Governo Badoglio e dal Terzo Reich.
Fortunatamente, la Storia si basa anche sulle testimonianze “secondarie” della gente comune e come Catone il Censore, forse il primo storico nazionale, che per scelta non esaltò mai nessun protagonista, Di Michele riscopre la tradizione democratica per riscrivere la Storia.

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