Un faro egiziano a Roma: l’Accademia d’Egitto


di Flavia Orsati

20 Ago 2025 - Arti Visive, Varie

Un turbine di eventi per la stagione 2024/2025 dell’Accademia d’Egitto di Belle Arti di Roma, diretta dalla musicista, critica d’Arte e docente universitaria Rania Yehia, la quale sostiene che “la cultura è il motore del dialogo”.

Accademia d’Egitto a Roma

Roma, città che da secoli accoglie culture, lingue e visioni, ha da tempo un ponte speciale con il mondo egiziano: l’Accademia d’Egitto di Belle Arti, fondata nel 1929 e oggi più che mai viva sotto la guida della direttrice Rania Yehia. Musicista di talento, flautista dell’Opera del Cairo sin dal 1995, critica d’arte e docente universitaria, Yehia porta con sé una solida formazione accademica – laureata in Arti e in Giurisprudenza, con un dottorato in Filosofia delle Arti – e una carriera che l’ha vista decano dell’Istituto Superiore di Critica Artistica al Cairo, presidente del Dipartimento di Filosofia delle Arti e delle Scienze, oltre che membro di comitati strategici nazionali. Premiata con il Premio Nazionale per l’Eccellenza nelle Arti nel 2023, già “Studentessa Esemplare” dell’Accademia delle Arti e riconosciuta come “Madre Esemplare” dall’Opera Egiziana, Yehia ha rappresentato l’Egitto in numerosi festival internazionali, distinguendosi per una visione capace di coniugare rigore accademico e sensibilità artistica. Dal settembre 2024 è stata chiamata a dirigere l’Accademia d’Egitto a Roma, un incarico prestigioso che interpreta come missione di diplomazia culturale. La sua convinzione è chiara: la cultura è il motore del dialogo, lo strumento più raffinato e potente per avvicinare popoli e costruire relazioni durature.

Non è un caso che la stagione 2024/2025 dell’Accademia sia stata un turbine di eventi, in soli dieci mesi: mostre, concerti, workshop, conferenze, aperture al pubblico. Non semplici appuntamenti, ma occasioni di diplomazia culturale, in cui la voce dell’arte ha parlato più forte di ogni barriera linguistica o politica.

Dalla cerimonia inaugurale Andiamo in Egitto – con poesia, danza, cucina tradizionale e la presenza di ambasciatori e personalità del corpo diplomatico – fino al concerto dedicato ai 155 anni di Aida, simbolo del legame tra la lirica italiana e l’antico Egitto, ogni incontro ha avuto un valore che va oltre l’estetica: è stato un atto di dialogo tra civiltà.

La programmazione ha saputo intrecciare eredità e innovazione: la musica sufi come voce spirituale universale, la riscoperta di figure come l’architetto italiano Ernesto Verrucci Bey, le grandi mostre sull’arte contemporanea e le conferenze che hanno riportato l’egittologia al centro dell’attenzione. Persino il Natale, celebrato con i canti arabo-cristiani accanto ai classici europei, è diventato occasione per ribadire che le culture si arricchiscono solo nel reciproco ascolto. Oltre a questi eventi, sono state allestite numerose mostre di artisti egiziani e non, nella convinzione che anche il linguaggio universale dell’arte possa fungere da stimolo al confronto e all’ascolto reciproco.

Dietro ogni evento, c’è una strategia chiara: mostrare l’Egitto come Paese non solo di millenaria memoria faraonica, ma anche di creatività contemporanea, di artisti e musicisti capaci di dialogare con il pubblico europeo più raffinato. L’Accademia si fa così anello di congiunzione tra Mediterraneo e Occidente, un laboratorio in cui le arti performative, visive e musicali diventano strumenti di diplomazia.

“Tra il popolo egiziano e quello italiano vi è un legame antico, destinato a durare” ha affermato più volte la direttrice Yehia, ricordando come le due civiltà abbiano saputo riconoscersi nell’eredità mediterranea comune e in una sensibilità artistica che attraversa i secoli. Oggi questo legame trova nuova linfa attraverso il linguaggio universale dell’arte, che diventa strumento di diplomazia culturale e piattaforma di dialogo autentico. Non si tratta solo di esibizioni o celebrazioni, ma di occasioni in cui l’Egitto e l’Italia si incontrano come interlocutori paritari, rafforzando la reciproca conoscenza e la collaborazione. È in questo contesto che la cultura si afferma come veicolo privilegiato di diplomazia, tramite un linguaggio che non ha bisogno di traduzioni, perché parla al cuore dei popoli e contribuisce a costruire relazioni solide, fondate sul rispetto e sulla condivisione di valori universali.

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