Successo per il “Werther” di Massenet a Parigi
di Alma Torretta
2 Apr 2025 - Commenti classica
Dopo la Scala, arriva al Théâtre des Champs-Élysées di Parigi il “Werther” di Massenet firmato Christof Loy. Grande successo per i due protagonisti: Benjamin Bernheim e Marina Viotti.
(Foto © Vincent Pontet)
Nuova produzione del Teatro alla Scala di Milano, dove è stata creata lo scorso giugno, in coproduzione con il Théâtre des Champs-Élysées di Parigi dove ha debuttato nei giorni scorsi, il capolavoro romantico di Massenet, Werther, nell’allestimento di Christof Loy.
In entrambi i paesi ha come protagonista il tenore Benjamin Bernheim che oggi è considerato un Werther di riferimento, anzi il migliore Werther dei nostri tempi. Eppure, il tenore franco-svizzero sembrerebbe lontano dal personaggio, per quanto come persona è pacato e discreto, ma in scena riesce a tirar fuori tutta la sua passionalità, il fuoco sotto il ghiaccio, ed esprimere al meglio i sentimenti profondi e disperati di un giovane che arriva a suicidarsi per amore.



Lo stesso potrebbe dirsi del mezzo, pure franco-svizzero, Marina Viotti che interpreta a Parigi Charlotte, l’amore impossibile di Werther, bruna solare e sensuale che in scena riesce a trasfigurarsi nella candida, dolce, materna ragazza che fa innamorare perdutamente, per la purezza dei suoi sentimenti e del suo comportamento, il protagonista Werther; un debutto nel ruolo per la Viotti davvero realizzato con grande cura, immedesimazione e intensità.
A Milano, invece, come Charlotte c’era il biondo mezzosoprano russo Victoria Karkacheva, e sul podio il maestro Alain Altinoglu alla testa dell’Orchestra della Scala, mentre a Parigi nella fossa ci sono i musicisti specializzati in strumenti d’epoca del gruppo Les Siècles diretti dal giovane direttore franco-boliviano Marc Leroy-Calatayud. Quest’ultimo è sembrato volere dare una lettura più moderna, quasi cinematografica della partitura, spesso accelerando, incalzando con suoni che però a tratti sono apparsi sfocati e lontani, più efficace e godibile nelle scene intimiste. Una partitura di straordinaria finezza che rivela in musica tutta la profondità dei personaggi, i loro sentimenti ambivalenti, gli stati d’animo più nascosti, tutto quello che non può essere detto con le parole nella storia d’amore tra Werther e Charlotte, fidanzata e poi sposata ad un altro. Tragedia d’amore immaginata da Goethe nel suo romanzo epistolare “I dolori del giovane Werther” (1774), che infiammò tutta l’Europa del suo tempo, tanto da causare ciò che fu chiamata la “febbre wertheriana” arrivando a provocare suicidi tra i giovani per imitazione del protagonista, e da cui Massenet trasse ispirazione per creare l’opera, dopo i dubbi espressi dalla direzione dell’Opéra-Comique per l’estrema tragicità del finale, infine nel 1892 a Vienna con il bellissimo libretto, dalla scrittura quasi filosofica come il romanzo di Goethe, d’Edouard Blau, Paul Milliet et Georges Hartmann.


Una complessità di temi che la messa in scena di Christoph Loy, ripresa a Parigi da Silvia Aurea De Stefano, cancella un po’ troppo. Ad esempio, qui la natura, centrale in quanto punto di riferimento e di paragone per Werther su ciò che è bello e dona felicità, nelle scenografie di Johannes Leiacker è appena accennata dalla presenza di qualche pianta in casa e d’alberi in lontananza, nonché dal vento che si sente soffiare forte. Perplessità suscitano pure i costumi dalle fogge novecentesche di Robby Duiveman, con Charlotte, ad esempio, che sta in pelliccia in casa.
Ma la bravura degli interpreti vocali fa passare sopra a tante mancanze e incongruenze. Benjamin Bernheim delizia sin dalla sua aria d’entrata in scena “Ô nature” ed è magistrale, nel terzo atto, nel brano forse più famoso di tutta l’opera, quel “Pourquoi me réveiller, ô souffle du printemps!” dalla bellezza melodica indimenticabile e che il tenore rende con grande raffinatezza e passione.



E pazienza se, con scelte assai discutibili, il regista fa poi portare a Werther stesso il messaggio con cui chiede, con la scusa di un viaggio pericoloso, la pistola con cui si sparerà e, soprattutto, pazienza per il fatto che il regista ha scelto di far restare nella scena finale anche marito e sorella che non apportano nulla in più alla morte di Werther tra le braccia di Charlotte.
Marina Viotti, da parte sua, conquista il pubblico con la sua struggente cosiddetta “aria delle lettere” in cui infine emerge tutto il suo amore per Werther, fino ad allora ben controllato e celato per obbedire alla madre che in punto di morte le aveva fatto promettere di sposare il bravo Albert. Anche gli altri ruoli principali sono ben cantati: la sorella di Charlotte, Sophie, innamorata pure di Werther, è il giovane soprano Sandra Hamaoui; Albert, il fidanzato e poi marito di Charlotte, è interpretato dal baritono Jean-Sébastien Bou; il padre di Charlotte è qui pure un baritono, Marc Scoffoni, e molto bravi poi i ragazzini della Maîtrise des Hauts-de-Seine, naturali, ben intonati e compatti. A Parigi sino al 6 aprile.