“Sei personaggi in cerca di autore”. Il capolavoro di Pirandello compie cent’anni


di Alberto Pellegrino

7 Giu 2021 - Approfondimenti teatro, Commenti teatro

In occasione del centenario del capolavoro di Luigi Pirandello “Sei personaggi in cerca di autore” pubblichiamo il saggio di Alberto Pellegrino che ne ripercorre la storia, le motivazioni, il significato dei personaggi…

Il 9 maggio 1921 debutta sul palcoscenico del Teatro Valle di Roma la commedia Sei personaggi in cerca di autore di Luigi Pirandello, accolta con fischi e insulti da parte del pubblico che grida “manicomio, manicomio” e getta monetine sul palco. Dei 1.040 spettatori presenti in sala, la sera dopo ne restano solo 367 e il 13 maggio lo spettacolo viene definitivamente tolto dal cartellone. Molta parte della critica mostra di non aver compreso la portata e l’importanza di un testo che avrebbe rivoluzionato il teatro del Novecento e solo alcuni critici tra i più avveduti (Adriano Tilgher, Fausto Maria Martini, Renato Simoni, Marco Praga, Massimo Bontempelli, Silvio D’Amico, Giuseppe Antonio Borgese, Piero Gobetti) intuiscono di avere assistito a un evento eccezionale destinato a cambiare il teatro di prosa unitamente agli altri due straordinari testi successivi Ciascuno a suo modo (1924) e Questa sera si recita a soggetto (1930).

Si può capire il disorientamento di questi spettatori abituati a un teatro naturalista di fronte alla stranezza e alla difficoltà di uno spettacolo nel quale il pubblico non ritrova,  come s’aspettava, il solito salotto borghese, ma una scena vuota con degli attori che stanno preparando una  rappresentazione (Il gioco delle parti sempre di Pirandello). Si tratta di persone reali impegnate nel loro lavoro professionale, dinanzi alle quali all’improvviso sbucano dal nulla sei individui (due donne, due uomini e due bambini) che dichiarano di essere dei personaggi rifiutati dal loro autore e che si rivolgono al Capocomico per farli diventare i protagonisti di una vicenda che riguarda la loro vita.

Gli attori, anche se sono dei professionisti, rimangono disorientati, ma sono soprattutto gli spettatori a non capire quello che sta accadendo sul palcoscenico, per cui finiscono per inveire contro qualcosa che appare loro incomprensibile. Eppure la commedia, durante l’estate, ha successo nei teatri francesi e tedeschi, dove gli spettatori sono meno scandalizzati di fronte a una trama fortemente trasgressiva (al limite dell’oscenità e dell’incesto), perché in qualche modo sono più educati a capire le problematiche freudiane che stentano a penetrare nella “Italietta” del primo Novecento.  La commedia finirà per essere rivalutata dal pubblico e definitivamente apprezzata dalla critica solo dopo la seconda rappresentazione andata in scena a Milano il 27 settembre 1921.

L’autore si mette a nudo nella Prefazione del 1925

Lo stesso Pirandello avverte il bisogno di rivedere il testo, per cui una seconda edizione esce nel 1923, una terza nel 1924, infine una quinta nel 1925 considerata la versione definitiva del dramma con notevoli variazioni rispetto alla prima e lo stesso autore chiama un’opera “riveduta e corretta con l’aggiunta di una prefazione”. Proprio la Prefazione diventa essenziale per comprendere la genesi di questo capolavoro, perché in essa Pirandello ribadisce la priorità del processo creativo, fantastico, visionario di questa rappresentazione che deve essere intesa come un’opera in perenne evoluzione, senza uno svolgimento e senza un finale, una “commedia da fare”, nella quale i personaggi non hanno un carattere definitivo e immutabile ma a differenza del romanzo, dove esiste una narrazione, possono rappresentare di volta in volta e in piena autonomia “l’evento” e questo consente all’autore di mostrare la sua estraneità a quanto sta accadendo e nello stesso tempo gli permette di osservare i personaggi generati dalla sua fantasia, fantasmi o creature oniriche che vogliono “deporre” l’uno contro l’altro per proclamate, dinanzi agli spettatori, la propria innocenza.   

In questo modo il teatro di Pirandello irrompe con forza nell’avanguardia novecentesca e guarda con interesse al teatro della crudeltà di Artaud, un autore che interpreta i “Sei personaggi” come uno spettacolo imprevisto e irripetibile al apri di qualsiasi atto della vita; capace nello stesso tempo di realizzare il fine stesso del teatro, perché riesce a offrire “uno sbocco ai nostri sentimenti repressi” e a convalidare il principio che “non può esistere teatro se non a partire dal momento in cui comincia veramente l’impossibile” (A. Artaud, Il teatro e il suo doppio, Einaudi, 1968, p. 146).

“Io ho voluto rappresentare sei personaggi che cercano un autore – dice Pirandello nella Prefazione – Il dramma non riesce a rappresentarsi appunto perché manca l’autore che essi cercano; e si rappresenta invece la commedia di questo loro vano tentativo, con tutto quello che essa ha di tragico per il fatto che questi sei personaggi sono stati rifiutati. Ma si può rappresentare un personaggio, rifiutandolo? Evidentemente, per rappresentarlo, bisogna invece accoglierlo nella fantasia e quindi esprimerlo. E io infatti ho accolto e realizzato quei sei personaggi: li ho però accolti e realizzati come rifiutati: in cerca d’altro autore. Bisogna intendere che cosa ho rifiutato in essi; non essi stessi, evidentemente; bensì il loro dramma, che, senza dubbio, interessava loro sopra tutto, ma non interessava affatto me. E che cos’è il proprio dramma, per un personaggio? Ogni fantasma, ogni creatura d’arte, per essere, deve avere il suo dramma, cioè un dramma in cui esso sia personaggio e per cui è personaggio. Il dramma è la ragione d’essere del personaggio; è la sua funzione vitale”.

Pirandello nelle prove della sua commedia

La genesi della commedia

Questa opera ha avuto una tormentata gestazione a cominciare dalla novella Personaggi (“Il Ventesimo”, 10 giugno 1906), nella quale esiste già un’ampia traccia della “fabula” dello scrittore visitato (con la complicità della servetta Fantasia) da una folla variopinta di personaggi come il “filosofo” Leandro Scoto, un testo in cui c’è il richiamo a “una vita vera, più vera del reale”, portando come esempio proprio Don Abbondio, quel “pretucolo di villaggio” che il suo autore ha reso immortale.

In una seconda novella, intitolata La tragedia di un personaggio (“Corriere della Sera”, 19 ottobre 1911), si racconta un crudele scontro dialettico tra lo scrittore-creatore e i suoi personaggi-creature per stabilire se questi possono essere come loro vorrebbero. Vi compare ancora un bizzarro filosofo, il dottor Fileno, il quale pronuncia il celebre monologo che poi Pirandello metterà in bocca al Padre dei “Sei personaggi”.

Per la terza volta il drammaturgo ritorna sull’argomento con la novella Colloqui con i personaggi, pubblicata in due puntate sul “Giornale di Sicilia” del 17-18 agosto e dell’11-12 settembre 1915. In essa ritroviamo la “fabula” allegorica di un personaggio, collocato al di fuori della realtà e del tempo, che sfida l’autore a superare le sue passioni contingenti in nome della superiore indifferenza della vita per seguire invece quella “seconda vita” costituita dalla creazione artistica.

Esiste infine un frammento, risalente intorno al 1917 e pubblicato da Corrado Alvaro sulla “Nuova Antologia” del 1° gennaio 1934, nel quale Pirandello parla di un “romanzo da fare” intitolato Sei personaggi in cerca d’autore: “Sei personaggi, presi in dramma terribile, che mi vengono appresso, per essere composti in un romanzo, un’ossessione, e io che non voglio saperne, e io che dico loro che è inutile e che non m’importa di loro e che non m’importa più di nulla, e loro che mi mostrano tutte le loro piaghe e io che li caccio via”. Si tratta di una bozza dove appare la figura del Padre che entra in un palazzo in cui si trova l’equivoca boutique di Madame Pace, un luogo dove un uomo già avanti negli anni ma “ancora irriducibilmente giovane” è sospinto alla ricerca di amori postribolari.

Romolo Valli e Rossella Falk nei Sei Personaggi

La stesura della commedia

Si arriva finalmente alla stesura di questa commedia che Pirandello ammette di avere scritto per liberarsi da un incubo, creando un testo originale fin dalla sua struttura non suddivisa in atti ma in sequenze d’ispirazione cinematografica. È ancora l’autore a dire che la sua intelligente, dispettosa e beffarda servetta Fantasia ha avuto “parecchi anni fa, la cattiva ispirazione o il malaugurato capriccio di condurmi in casa tutta una famiglia, non saprei dir dove né come ripescata, ma da cui, a suo credere, avrei potuto cavare il soggetto per un magnifico romanzo […] Quale autore potrà mai dire come e perché un personaggio gli sia nato nella fantasia? Il mistero della creazione artistica è il mistero stesso della nascita naturale […] Un artista, vivendo, accoglie in sé tanti germi della vita, e non può mai dire come e perché, a un certo momento, uno di questi germi vitali gli si inserisca nella fantasia per divenire anch’esso una creatura viva in un piano di vita superiore alla volubile vana esistenza quotidiana. Posso soltanto dire che, senza sapere d’averli punto cercati, mi trovai vivi davanti, vivi da poterli toccare, vivi da poterne udire persino il respiro, quei sei personaggi che ora si vedono sulla scena. E attendevano, lì presenti, ciascuno col suo tormento segreto e tutti uniti dalla nascita e dal viluppo delle vicende reciproche, ch’io li facessi entrare nel mondo dell’arte, componendo delle loro persone, delle loro passioni e dei loro casi un romanzo, un dramma o almeno una novella. Nati vivi, volevano vivere” (Prefazione).

Pirandello arricchisce il testo con didascalie che sono delle annotazioni “registiche”, con una definizione di scenografie e costumi, con alcune indicazioni interpretative secondo le quali i personaggi devono conservare “una certa loro naturale levità di sogno, in cui sono quali sospesi, ma che pure non toglierà nulla all’essenziale realtà delle forme e delle loro espressioni”, perché i personaggi “non dovranno apparire come fantasmi, ma come realtà create, costruzioni della fantasia immutabili”.

L’autore alla fine lascia la vicenda aperta a qualsiasi soluzione, dopo aver presentato il “dramma nel dramma” su tre piani differenti ma interdipendenti: il primo riguarda la strutturazione scenica; il secondo è il piano della verità di ogni personaggio che non accetta di aprirsi con nessuno; il terzo rappresenta infine il dramma della società composta da individui che pretendono egoisticamente di affermare i propri diritti e che finiscono per vivere in solitudine, chiusi nella loro incomunicabilità.

I personaggi del dramma

Tutta la commedia fa emergere la contrapposizione tra i professionisti della scena e i personaggi creati dalla fantasia. Gli attori della compagnia appaiono sciocchi, presuntuosi, incapaci di capire una realtà viva e dolorosa che risulta loro estranea, perché essi sono interessati solo alla rappresentazione e agli effetti prodotti sugli spettatori. I Sei Personaggi, che fanno irruzione sulla scena, chiedono di poter fra rivivere la storia dolorosa e infelice di una vita che li rende fra loro ostili e insofferenti nei confronti degli altri. Questi personaggi sono vivi e veri, perché non possiedono nessuna verità e non hanno certezze, giacché la nostra esistenza e le nostre conoscenze sono dominate dalla relatività che rende la realtà un’illusione: “Un personaggio può sempre domandare a un uomo chi è: perché un personaggio ha veramente una vita sua, segnata di caratteri suoi, per cui è sempre qualcuno. Mentre un uomo…un uomo così in genere, può non essere nessuno”.

Il Padre è un uomo carico di complessi, insoddisfatto e inquieto, che ama filosofeggiare come gran parte dei personaggi pirandelliani. Ha trascurato la moglie ritenuta una donna insignificante e scarsamente intelligente, incapace di capire i suoi problemi insoluti, per cui vive chiuso in una sdegnosa solitudine che serve a dare sfogo alle sue elucubrazioni filosofiche.

La Moglie è una donna frustrata e umiliata che trova comprensione e affetto nel segretario del marito, il quale scopre questa relazione e scaccia da casa la coppia, mentre il loro figlio viene affidato a persone di campagna. La nuova famiglia si trasferisce in un altro paese e il marito la perde di vista. Dalla convivenza della donna con l’ex segretario sono nati due femmine e un maschio e, dopo la morte del “secondo “marito”, la donna e i figli sono ritornati in città e sono costretti a vivere in povertà, per cui la Madre finisce per portare il peso di tutte le disgrazie familiari e per soffrire in silenzio tra accuse e umiliazioni, avendo delle reazioni primitive e istintive dettate da un puro sentimento materno.

La Figliastra, che rappresenta la voce punitrice del Padre, scarica invece la sua pena nel disprezzo e nella feroce ironia con cui affronta la vita. Rimasta invischiata nella miseria e nella dolorosa situazione familiare, reagisce in modo selvaggio a quel mondo che le ha distrutto l’anima (“Ma possibile pretendere da me che me ne stessi come una signorinetta modesta, benne allevata e virtuosa, d’accordo con le sue maledette aspirazioni a una solida sanità morale?”. Si trova pertanto nella rete peccaminosa di Madama Pace, la quale appare come un fantasma malefico ma anche come un personaggio reale, capace di annidarsi negli incubi più paurosi e segreti della coscienza umana.

La “dama”, dietro la facciata di una boutique alla moda, adesca ragazze di famiglie borghesi per farle incontrare nella sua casa d’appuntamenti con uomini di una certa posizione sociale. È qui che il Padre incontra la Figliastra senza averla riconosciuta ed è qui che la coppia viene sorpresa dalla Madre, inorridita di fronte a un possibile incesto.

A questo punto il Padre viene inchiodato dalla Figliastra, quando lo accusa di essere uno spregevole libertino che si nasconde dietro la sua maschera d’ipocrita moralità borghese. Lo provoca, lo deride, lo disprezza, mentre lui invoca come giustificazione le ragioni di essere un uomo “non ancora tanto vecchio da poter fare a meno della donna, e non più tanto giovane da poterne facilmente e senza vergogna andarne in cerca!…Si cede, si cede alla tentazione; per rialzarcene subito dopo, magari con una gran fretta di ricomporre intera e solida, come una pietra sulla fossa, la nostra dignità, che nasconde e seppellisce ai nostri stessi occhi ogni segno e il ricordo stesso della vergogna. È così di tutti! Manca solo il coraggio di dirle, certe cose!”.

Il Figlio è il frutto legittimo del primo matrimonio ma, cresciuto lontano dai genitori, è diventato un essere incattivito, solitario, condannato all’incomunicabilità e continuamente tentato dal desiderio di allontanarsi dalla scena, un giovane che suscita nello stesso tempo pietà e repulsione. Il secondo Figlio è un adolescente di 14 anni che assiste silenzioso, enigmatico e distaccato agli avvenimenti narrati, insensibile alle parole della sorella maggiore, quando tenta di scuoterlo da quella inerzia assoluta, scoprendo con angoscia che ha in tasca una pistola. Diversa è la sorte della bambina, anche lei sempre silenziosa, che si avvicina alla grande vasca del giardino per giocare, ma finisce per affogare sotto gli occhi del giovanetto, il quale appare come inebetito e si uccide con un colpo della sua rivoltella. Il corpo viene portato a braccia sul palco e alcuni attori gridano “È morto, poveretto!”, mentre altri esclamano “È finzione, è finzione!”, perché ancora una volta per Pirandello la realtà “così è se vi pare”.

È finita! I Personaggi, come doloranti fantasmi, ritornano a perdersi nelle ombre del palcoscenico, ritornano nel mondo della Fantasia dopo il drammatico e inutile scontro con la Vita, dopo una breve e angosciosa incarnazione. Rimane così inespressa e inesprimibile la pietà dell’autore per questa loro avventura, per questo doloroso e inutile passaggio sul palcoscenico di un teatro. Questa avventura teatrale diventa così la pietosa metafora dell’avventura di tutta l’umanità costretta a muoversi sull’altrettanto inutile e doloroso palcoscenico del mondo. Ultima a uscire di scena è la Figliastra che irride, amara e beffarda, i sogni degli uomini e la realtà della vita, sogni e realtà che non hanno tra loro dei confini ben definiti, ma che sono ugualmente destinati a scomparire.

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