Premio Recanati a Maria Pierantoni Giua


Fernando Romagnoli

16 Giu 2004 - Commenti live!

Il premio della critica è andato al genovese (ancora la Liguria! La scuola di Genova sta sfornando ottimi alunni ) Federico Sirianni e alla sua Alle 7 della sera .
Sirianni si definisce un bandautore più che un cantautore . Una definizione felicissima, che è anche la chiave, ci sembra, per entrare nella sua musica. Musica che è un insieme disordinato (sono ancora parole sue) di suoni e atmosfere che arrivano da tutte le parti del mondo. Razziate dai campi nomadi, dalle kcritchme bulgare, dai minareti turchi, dalle rhrumerie centroamericane, dalle feste irlandesi, dalle danze andaluse .
Ed effettivamente, fin dalle prime note, ci è sembrato di ravvisare una certa parentela, una certa aria di famiglia con il mondo poetico e musicale di Vinicio Capossela, col suo gusto delle contaminazioni multietniche, multiculturali, dalle sonorità balcaniche alle incursioni nella samba, nella rumba, nel tango, dal jazz soffice e melodico ai ritmi rubati al circo e alle orchestre di strada.
Anche in questo brano, oltre all'uso di strumenti altri (fisarmonica, shaker, cajon…) storie di uomini ai margini, storie di migrazione ( il tempo della fuga sotto il temporale ) e integrazione.
Alle 7 della sera è una bella, evocativa ballata che racconta, con tagli e felici squarci cinematografici , stati d'animo e sentimenti di extracomunitari, che si mettono in coda per telefonare alle famiglie lontane ( e dire che anche per quest'anno non ritorno/e dire che la vita qui non è poi male ).
Mi metto in coda alle 7 della sera
Di una domenica col ghiaccio sull'asfalto
La scheda per telefonare in Venezuela
Dove il cielo ha voglia di essere cobalto
Dove la luna è una lama di rasoio
Che accende i traffici del centro di Caracas
E osserva e svela coi suoi occhi d'avvoltoio
A ritmo di marimba sorda e di Maracas
(…)
E le cabine telefoniche son vuote
Ma hanno chilometri di vita raccontati
Che ognuno porta in tasca come unica dote
Quando l'inverno li avrà tutti congelati

Queste storie ai margini , storie di migranti, di difficili, problematiche convivenze, di ultimi , di perdenti alla deriva , ( il sociale , appunto, come diceva Cesanelli; e pensiamo qui a l'uomo nudo, senza potere e senza armi , cantato da Brecht) ci sono sembrate la cifra di questo premio, sono state il filo rosso che reggeva la trama di molti testi.
Su questo versante si inscrivono anche (a completare il quartetto di esordienti) le altre due proposte arrivate alla gloria della serata finale: Confini e Venere nera .
Confini , del vicentino Luca Bassanese, è una godibile ballata, senza tuttavia guizzi musicali inediti, originali, come reclamerebbe invece il Premio. Un rock sostenuto, tirato, che si snoda fino alla fine in maniera accattivante, ma piuttosto reiterata, scontata, di maniera ; che si riscatta, tuttavia, sul piano testuale, nel suo essere, ci sembra, un manifesto civile , una bella, robusta canzone di denuncia, più che mai importante e urgente , da far ascoltare e cantare nelle scuole. Un contributo , (per usare le parole con le quali Bassanese chiarisce il suo bisogno di comunicare ) ad uscire dall'anestesia e dall'indifferenza che circonda la nostra quotidianità . E di questo scuoterci dal torpore del nostro vivere bovino e opulento, di scrollarci di dosso il razzismo strisciante che si insinua nei nostri gesti, nelle nostre parole, nei nostri pensieri, abbiamo urgente bisogno. Bella, nel testo, l'espressione viandanti , che corregge l'altra, immigrati e che fotografa bene un mondo di migrazioni e spostamenti planetari, una terra sulla quale la gente cammina ; il nostro mondo e, sempre più, il mondo che verrà . E bello l'incipit, così brusco, diretto, così poco politicamente corretto , una domanda che inchioda, un pugno allo stomaco contro ogni atavica e ricorrente paura del diverso, dell'altro, dello straniero , paura che rubi il nostro lavoro, le nostre donne, la nostra vita: Lo vuoi capire che il mondo non è solo casa tua? Un attacco (e un brano) rivolto in filigrana (nemmeno tanto; Bassanese è veneto e da quelle parti si respira un'aria pesante ) ai teorizzatori di improbabili razze Piave , di fantomatiche origini celtiche, di incerti confini padani.
Lo vuoi capire che il mondo non è solo casa tua?
E non vi sono immigrati ma solo viandanti
E non vi sono stranieri ma solo vicini
Non vi sono confini Non vi sono confini
Nessuno può rubarti nulla
Se ciò che hai di più caro è la tua coscienza
Nessuno può rubarti nulla
Se ciò che hai di più caro sono i tuoi pensieri
Lo vuoi capire che il mondo non è solo casa tua?

Venere nera è stata la proposta di Piero Sidoti, udinese, cantautore ed attore (ha partecipato, tra l'altro, all'ultimo film di Soldini, Agata e la tempesta ).
La protagonista di questa canzone , recita Sidoti sul palco, prima di attaccare con la sua chitarra, camminando sul marciapiede di una grande città , nell'attesa del prossimo cliente, intona una cantilena di speranza del suo paese d'origine . Il brano, arrangiato da Antonio Marangolo, si snoda musicalmente su ritmi, echi, atmosfere di bossa nova , di musica brasiliana, intonandosi così perfettamente al racconto, che ha per protagonista una prostituta, brasiliana appunto. Il testo è molto bello e poetico e disegna, con poche pennellate, pochi tocchi sapienti e felici, un paesaggio fisico degradato ( case su case ; il bianco sporcato del cielo ) e un universo umano di deriva , ma anche, intanto, di speranza di vita nuova . I suoi ultimi lavori (recita la scheda di presentazione) hanno come protagonisti soggetti che hanno sbagliato o che sbaglieranno; sono dei perdenti, ma anche dei vincenti perchè mantengono un briciolo di dignità nella sconfitta . Oltre le attese avvitate , i milioni di voci , la ragnatela dei giorni tutti uguali ( son soltanto giornate e giornate passate ), la protagonista sogna, annunciato da una coda d'aurora , un futuro da regina , da Venere nera , che brillerà di soldi e fortuna .
Sono rampe di scale
Sono case su case
Ed è bianco sporcato del cielo
Macchine allineate
Code di luce
Suoni e rumori arrabbiati
Sono i miei tacchi appuntiti
Che mi impacciano i piedi
Che mi cadenzano il tempo che vola sopra i marciapiedi
Io mi sveglio alla luna
E poi alla deriva
Però aspetto che brilla e che arriva e che arriva …

Ma l'emozione più intensa, tra gli otto finalisti, ce l'ha regalata Rocco Cucovaz, poi eliminato, in maniera, ci sentiamo di dire, assolutamente immeritata.
Era capitata, la stessa sorte, qualche anno fa, ad Amalia Grè. Chissà che non sia un segno del destino, di un destino che si ripete e che sa, poi, astutamente vendicarsi .
Quarantasette anni, romano, ( ma fino a undici anni ho vissuto a Napoli e mi è entrata dentro ; la sua lingua è farcita infatti di sonorità partenopee), personaggio bohemien e lievemente maudit (anche in una presenza sul palco poco rispettosa del protocollo ), senza macchina, senza telefono, senza orologio e senza memoria …; cantastorie e performer, writer song e bandito ( perchè le cose che mi capitano sono tutte rubate per strada ), Cucovaz ha tutte le carte in regola per essere un artista , per dirla con Piero Ciampi, per regalarci nei prossimi anni altri brividi di poesia e per farcela (ma avrà voglia di perseguire il successo?). Nel 2002, tra l'altro, Cucovaz ha vinto il Premio per la canzone d'autore , intitolato proprio al livornese maledetto ( Io, in questa vita sono uno straniero , cantava), al grande poeta dalla voce roca e sporca e dalle intuizioni folgoranti, dalle canzoni tenere e oltraggiose, ulcerate e struggenti.
E il mondo poetico di Cucovaz, come quello di Ciampi, è il mondo dei vinti, dei deboli, degli emarginati, di chi se incontra un disperato, non chiede spiegazioni .
Il brano Piedi , amaro, dolente, ma ancor più dolcissimo, toccante, poetico, racconta storie di ultimi, di sbandati ( le mie canzoni , afferma Cucovaz sono dediche d'amore in musica alla minoranza di questo nostro tempo: operai, alcolizzati, tossicodipendenti, prostitute, immigrati e innamorati gravissimi ), senza pietismi, senza commiserazioni.
Sono un ragazzo fortunato che nessuno mi viene dietro
Col numero e la ricerca di sfratto sopra il cartone che m'aggia aggiustato

Storie di vita a piedi , di vita al sole appesa per i piedi .
Non tengo pazienza non tengo decoro
Se finisce così finisce pure sta specie di lavoro
Non tengo camicie ciò solo magliette
Una la metto addosso una si lava e s'asciuga alla fontana
Ciò due polipetti che mi scaldo la sera
Poi li metto in frigo col sugo fresco e il basilico nuovo
Vedi tu non è colpa mia e nessuno
Questo rumore che sale piano dai vicoli e dalla televisione

Sono un ragazzo fortunato perchè mia mamma mi vuole bene
Tengo pure nove fratelli. E uno sa cantare
Sono un ragazzo fortunato perchè se piove piove poco
Sulla frutta sopra l'alici in miezz'ai vicoli sopra ai miei piedi

Sopra la mia vita al sole appesa per i piedi
Tutta la mia vita a piedi che un bel giorno ti diedi
Tutta la mia vita tutta fatta tutta coi piedi
A piedi

Ricordavamo Ciampi. Cucovaz, sul palco, ha ricordato De Andrè, inarrivabile maestro, anche lui cantore degli ultimi. Ma l'universo umano evocato da Piedi ci richiama alla mente, irresistibilmente, anche una splendida, dolcissima canzone di Francesco de Gregori, I matti , che si fermano lunghe ore / a riposare / le ossa e le ali / le ossa e le ali / e dentro alle chiese / ci vanno a fumare / centinaia di sigarette / davanti all'altare .
Gli altri finalisti sono stati Viola Buzzi, di Viterbo, con Tu che passi , Maler (Nogara) che ha presentato Bianca e la napoletana Giovanna Panza De Cortes, con O tuorto e a raggione .
Ed è tutto. Appuntamento all'anno prossimo, alla XVI edizione; il Premio è già più che adolescente, è un giovincello scherzoso .
E intanto, dalla vetta della torre antica , l'eco delle note va, per la campagna.
Ed erra l'armonia per questa valle .

(Fernando Romagnoli)


One response

  1. Alba Bartoli Ungaro ha detto:

    Felicissima di conoscere Rocco Cucovaz la sua canzone Piedi è senza tempo e nel tempo di adesso ancora e ancora di più. Grazie Rocco

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