Urbisaglia (MC): Trionfo per la "Pentesilea" diretta da Peter Stein

La "Pentesila" di Peter Stein nell’Anfiteatro di Urbisaglia (MC). La produzione internazionale apre alla grande la stagione di Teatro Antico.

di Alberto Pellegrino

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Una parete di luce accecante introduce il pubblico nel ferrigno, violento mondo delle Amazzoni superbe custodi della loro indipendenza dal dominio maschile: da una corrugazione del terreno, che sovrasta una vasta distesa d’erba, emergono dal mito e prendono corpo le implacabili donne – guerriero che, all’apparire sulla scena, prorompono in un rituale canto di guerra che fa da prologo alla battaglia. Così ha inizio la Pentesilea, la tragedia di Heinrich von Kleist che il regista tedesco Peter Stein ha adattato e messo in scena per una produzione internazionale che ha fatto debuttare lo spettacolo nel teatro greco di Epidauro ed in quello di Siracusa, per arrivare il 18 e 20 luglio sul palcoscenico dell’Anfiteatro Romano di Urbisaglia e continuare poi per l’Austria e la Spagna.
Secondo la trama ideata da Kleist, le Amazzoni sono scese in guerra per conquistare in battaglia quei maschi che dovranno fecondare le vergini durante la festa delle rose ed assicurare a questo popolo guerriero costituito da sole femmine la continuazione della specie. Nel libero Stato delle Amazzoni è stato bandito il sentimento dell’amore, né c’è posto per gli uomini considerati solo come necessari fattori di figli. L’esercito è guidato da Pentesilea, la valorosa regina – vergine che non ha ancora celebrato la festa delle rose. La giovane guerriera coltiva un sogno segreto: è attratta dal grande Achille, dalla sua fama di invincibile guerriero, dal suo mitico fascino di amante, vorrebbe conquistarlo e possederlo, essere da lui fecondata durante la festa delle rose. E’ lui quindi che Pentesilea cerca in battaglia, contravvenendo alla legge del suo popolo che impone di lasciare al caso la conquista del maschio. La giovane, sospinta da un irrefrenabile desiderio verso l’eroe greco, si mostra insensibile ai richiami della fedele Protoe, che cerca di ricondurla sui sentieri della ragione e alla pratica di quella saggezza propria di una regina.
Kleist riscrive il mito classico e punta sulla inversione dei ruoli fra i due protagonisti, operando uno scambio nella tradizionale relazione fra i sessi e conferendo alla sua tragedia una costante ambiguità determinata dal dissidio fra pulsioni sessuali e passioni amorose, dal desiderio di conquista e di sottomissione, da una continua spinta alla seduzione ed alla repulsione. Kleist reinventa l’essenza stessa del mito che, secondo la tradizione, vede Pentesilea accorrere sotto le mura di Troia per aiutare Priamo contro gli invasori greci. Sul campo di battaglia la giovane guerriera resta ferita a morte ed Achille, soltanto quando la vede riversa al suolo e morente, è colpito ed affascinato dalla sua bellezza, arrivando ad innamorarsi della propria vittima. Di tutto questo nella tragedia di Kleist non rimane alcun segno, perché essa ruota intorno al personaggio di una Pentesilea innamorata dell’eroe quasi a livello inconscio, mentre Achille è attratto da questa donna che l’ha affrontato e che ha sconfitto in duello. Da questo momento ha inizio una serie di incomprensioni, depressioni, tentativi di comunicazione amorosa sia da parte di Pentesilea che crede di aver vinto e conquistato in battaglia l’uomo che ama, sia da parte di Achille che le lascia credere di essere vincitrice, perché ritiene di poter soddisfare in questo modo il desiderio che lo pervade da quando ha visto l’intrepida amazzone: poter “indisturbato, come il suo cuore vuole, prenderla ardente fra le braccia su guanciali di bronzo”. Ma la scoperta della verità, il sapere di essere stata sconfitta da Achille, trasforma l’ardore e l’emozione, il desiderio e la passione erotico - amorosa di Pentesilea in un incontenibile furore distruttivo: quando le compagne la liberano dalla prigionia dei Greci, la regina si precipita in battaglia alla testa di una muta di cani feroci per annientare l’ignaro Achille, che ha deciso di affrontarla senza armi per lasciarsi condurre prigioniero nella terra delle Amazzoni e poter finalmente godere dell’amore di Pentesilea, celebrando con lei la festa delle rose. Un ben diverso destino lo attende, perché la donna – guerriero, ormai trasformata in una belva sconvolta dalla follia, gli aizza contro la torma feroce dei suoi cani che sbranano l’eroe. Pentesilea, dopo essersi accanita anche lei sul quel corpo un tempo desiderato ed ora posseduto in un amplesso di sangue, riporta quel corpo dilaniato dinanzi alla sacerdotessa e alle sue guerriere che la guardano con orrore. La regina, una volta uscita dalle nebbie della sua disumana ferocia, si rende conto dell’atroce delitto di cui si è macchiata, della distruzione dell’oggetto stesso del suo amore, per cui sceglie la strada dell’autopunizione e si lascia morire sul corpo dell’uomo amato.
Peter Stein, nel mettere in scena questo difficile testo, trova le giuste soluzioni avendo deciso di porre al centro della vicenda il personaggio di Pentesilea in lotta contro gli dei, le leggi del suo popolo, il destino, l’avversario che ama e desidera, ma soprattutto contro se stessa, dilaniata dal dissidio interiore tra la passione amorosa, la scoperta della propria femminilità, il dovere di regina. Alla furente e feroce passionalità romantica della protagonista Stein contrappone un Achille umanizzato e quindi vulnerabile, diviso fra scetticismo ed ironia, non più divorato da un frenetico desiderio di gloria conquistata in battaglia, ma in un primo tempo dominato da una voglia tutta sensuale di possedere la vergine – guerriera e, in un secondo momento, attratto da questa inusitata esperienza amorosa. Proprio lui, che la tradizione vuole invincibile e invulnerabile, finirà con il corpo fatto a pezzi alla ricerca di un amore che finisce per sprofondare nella follia distruttrice della donna amata, accomunato in questo tragico destino ad un altro personaggio mitologico sia pure completamente diverso, il poeta Orfeo fatto a pezzi dalle donne tracie offese per essere state respinte da chi aveva giurato fedeltà al ricordo di Euridice.
La suggestiva scena, progettata da Dionisis Fotopulis come un ampio prato verde, diventa il luogo dove si combatte o ci si prepara a celebrare la festa delle rose, dove si consuma, sotto le luci sapientemente disegnate da A. J. Weissbard, il dramma d’amore e di folle sadismo dei due protagonisti. Lame di luce squarciano il ventre della notte, bagliori improvvisi e violenti divampano sul campo di battaglia dove l’esercito delle Amazzoni danza e canta, corre e si batte al ritmo delle musiche composte da Arturo Annacchino. In mezzo al furore dello scontro, nel languore dei sensi e dell’amore emerge una grande Maddalena Crippa, che tratteggia con autorità e intensità la figura di Pentesilea, riuscendo a comunicare quell’impasto di passionalità, sensualità, orgoglio e follia che il personaggio esprime. Stein, con felice invenzione, mette insieme un’affascinante esercito di Amazzoni che, oltre a svolgere la tradizionale funzione del coro classico, diventa il punto di riferimento e di sostegno dell’intera vicenda. Questo coro formato da 29 giovani attrici – danzatrici, combatte e commenta, freme e soffre con la sua regina; è al tempo stesso protagonista e vittima delle passioni che sconvolgono l’incontro – scontro fra Pentesilea e Achille. Giustamente il regista ricorda che “il coro rappresenta l’utopia di una felicità giovanile, dove i conflitti sono risolti con emozionale impulsività e l’armonia con il proprio corpo è il punto di arrivo dell’esistenza…ma che questa spontaneità del comportamento conduce al cannibalismo e l’unica scelta possibile diviene quella di seguire Pentesilea in un suicidio collettivo”. Tutto lo spettacolo ha un forte impatto visivo che passa attraverso la stilizzazione degli scontri e dei duelli a metà fra la citazione della pittura vasale greca e le arti marziali, la rossa presenza delle rose che invadono la scena in preparazione della festa degli amori, l’emozione di Pentesilea fremente d’amore a cui fa da controcanto la scanzonato desiderio di possesso di Achille. Si arriva così al drammatico ed elegiaco finale quando Pentesilea, purificata dal sangue che la copre e riacquistata la ragione, decide di lasciarsi morire sul corpo dilaniato dell’uomo che ha amato, mentre le sue Amazzoni ne coprono il corpo di fiori nella funeraria celebrazione di un’impossibile festa delle rose in un incontro riconciliatore tra violenza e poesia.

(Alberto Pellegrino)

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