Intervista al sassofonista e compositore Jazz Claudio Fasoli


a cura di Vincenzo Pasquali

17 Gen 2022 - Commenti live!, Interviste

Dopo la presentazione del nuovo disco Next, recente vincitore come migliore disco Jazz dell’anno, abbiamo intervistato Fasoli, compositore e sassofonista tra i migliori musicisti Jazz nel panorama internazionale.

Arrivata fresca la notizia che il disco Next,del quartetto guidato da Claudio Fasoli, pubblicato dall’etichetta Abeat Records, è stato insignito del prestigioso riconoscimento Top Jazz: il disco italiano dell’anno, il più importante in Italia per quanto riguarda la scena jazz nazionale, nel referendum indetto dalla rivista specializzata Musica Jazz.

Pubblichiamo qui l’intervista al compositore e sassofonista Fasoli che abbiamo realizzato qualche giorno fa.

D. Ho ascoltato attentamente il disco “Next”, giunto alla nostra Redazione e che abbiamo presentato su queste pagine (https://www.musiculturaonline.it/next-il-nuovo-cd-del-claudio-fasoli-next-quartet/)  il settembre scorso. Un disco con un quartetto “nuovo di zecca”, come dice Luca Conti nelle note del book allegato al cd, ma con musicisti affermati e di grande talento. Sembrerà scontato ma vorrei chiedere il perché di questo titolo.

R.Ci sono due spiegazioni entrambe vere, la prima è che “Next” è un titolo molto corto e memorizzabile e vuole essere una risposta un po’ scherzosa a tutti coloro che chiedono cosa sarà il “prossimo” progetto, quali caratteristiche avrà, quale musica e quali musicisti prevederà, eccetera, ritornando sempre sul concetto del futuro magari dimenticando di parlare del presente! Ora questo è il progetto NEXT, cioè quello che era il progetto futuro fino al momento in cui ha preso concretamente forma ragion per cui è diventato “attuale”! La seconda spiegazione è di natura più teorica, riguarda il concetto di divenire, di ricerca … In questo caso la musica è fissata su cd ma nello stesso tempo ha delle cellule di futuro, dei segni musicali che potrò sviluppare in futuro.

D. Scrive di lei Carlo Boccadoro: “Un musicista che riesce a portare il suo suono inconfondibile, chiaro ed espressivo come una lama di luce, a qualsiasi avventura musicale. La voglia di percorrere sempre strade che deviassero dall’ovvietà del già conosciuto non è mai venuta meno a questo musicista libero e di grande cultura”. Sono pienamente d’accordo con lui. Ci racconti in breve la sua storia d’amore col sax, uno strumento che ascoltandolo suonato da lei conquista chiunque.

R. Ringrazio Carlo Boccadoro per aver scritto questo apprezzamento nei miei confronti e posso dire che ha colto in pieno quella che è una delle priorità del mio concetto di fare musica. Poi per quanto riguarda il saxofono ero ancora ragazzo quando il primo suono di saxofono che mi colpì gradevolmente ascoltandolo su un vecchio disco fu quello di Frankie Trumbauer, il saxofonista del gruppo di Bix  Beiderbecke (anni ’20) che influenzò tantissimo Lester Young ( come da biografia) e quindi da lui dipese  il concetto di suono del saxofono prevalente in tutto il jazz successivo, intendo  da  Charlie Parker in poi. Naturalmente altri musicisti come, ad esempio, Coleman Hawkins (anni ‘30) definirono altre scelte timbriche sullo stesso strumento ma forse dopo furono meno condivise. Ma quello di cui mi innamorai totalmente e definitivamente fu il suono di Lee Konitz che mi condizionò tantissimo. Oltre a Lester Young, le mie frequentazioni furono molto varie, per esempio Jackie Mc Lean fu una fra queste e anche per lui ebbi momenti di forte rapimento. Però fu quando stava per terminare la mia esperienza col “Perigeo” (fine anni ‘70) che il suono del sax tenore mi prese al punto che suonavo il sax alto pensandolo come fosse un tenore. Finalmente presi la decisione di cambiare strumento e quindi passai dall’uno all’altro: non con poca fatica cominciai a studiare stabilmente il tenore dato che ormai in quel timbro   mi riconoscevo definitivamente date le influenze di Sonny Rollins, John Coltrane e Wayne Shorter ma poi anche Dave Liebman, Gato Barbieri, Jan Garbarek, etc.…che ascoltavo assai assiduamente. Per fortuna molti sono coloro che mi piacciono molto per la loro voce strumentale così personalizzata e questa è una fortuna perché posso evitare di farmi assorbire e impregnare troppo da uno solo dei suoni possibili che sono così coinvolgenti.

D. Lei nasce dalle incredibili sperimentazioni degli anni ’70 ma la sua musica è di una modernità sconcertante. Un’evoluzione che denota una grande “curiosità” per tutti i generi (non a caso nel quartetto è presente la chitarra elettrica), una preziosa contaminazione senza “confusione”. È d’accordo? Ci parli della sua evoluzione compositiva.

R. Ho iniziato a pensare alla composizione seriamente come elemento necessario nella mia vita musicale e come possibilità di caratterizzare maggiormente la musica che suonavo quando ancora facevo parte del quintetto “Perigeo”: fu allora che precisai questa urgenza e cominciai a conservare scritte alcune idee musicali che ogni tanto coltivavo. Non avendo mai fatto studi di composizione ma avendo sempre ascoltato musica classica in famiglia fin da bambino, avevo introiettato molti elementi architettonici e moduli narrativi appartenenti alla grande Musica barocca e romantica senza dimenticare Autori importanti del ‘900, praticamente avevo già la musica in testa ma mi mancava l’esperienza della scrittura cioè della sua memorizzazione. Questo fu il mio studio autoctono dato che nessuno in quel periodo poteva darmi indicazioni. Questa esperienza aveva preso il suo avvio e dato che le composizioni che proponevo ai miei musicisti sembravano funzionare bene allora continuai a raffinare le proposte approfondendo sempre di più l’aspetto armonico e strutturale cercando sempre di tenermi alla larga da luoghi comuni e scontate prevedibilità. Infatti questo è ciò cui mi attengo tuttora severamente altrimenti non mi divertirei a scrivere…

D. Ci parli del suo quartetto e perché della scelta di questi musicisti.

R. Per me è molto significativo il pianoforte come strumento armonico come può esserlo la chitarra elettrica, dipende da chi suona uno strumento o l’altro, non può dipendere necessariamente dallo strumento in sé.  In questo album appare la chitarra elettrica nello specifico suonata da Simone Massaron: ciò che a me interessa in questo caso è il suo modo di esprimersi lontano da alcuni luoghi comuni, servendosi di molti suoni disponibili nelle sue pedaliere che gli permettono moltissimi colori e diverse intensità. Questo approccio mi ha sempre incuriosito e pertanto ho potuto suonare con lui sulla base della sua disponibilità. Questo non significa per me un abbandono del suono del pianoforte così come Michelangelo Decorato lo sa far suonare nel quartetto Samadhi dove il suo modo valorizza la mia musica e ne è valorizzato reciprocamente. Lo stesso va detto per gli altri musicisti vale a dire Tito Mangialajo Rantzer al contrabbasso, musicista di grande esperienza, gusto e sicurezza, efficacissimo in ogni situazione e collaborativo in ogni frangente; così come il batterista Stefano Grasso il cui linguaggio espressivo è caratterizzato da un vocabolario vastissimo sia ritmicamente che coloristicamente. Inoltre è la loro unione che produce il suono globale che mi intriga e mi stimola, è difficile spiegare ma è semplice quello che succede, ci si sente a casa e quindi assai a proprio agio per potersi esprimere. Non è però diverso da quando mi trovo a suonare nell’altro gruppo con Andrea Lamacchia al contrabbasso e Marco Zanoli alla batteria: la rotondità del suono così come esce è uno stimolo molto forte e ricco di implicazioni sonore e ritmicamente suggestive che avvolge e trascina contemporaneamente.

D. La purezza dei suoni dei vari strumenti, nei 10 brani del disco, è cosa rara nel Jazz contemporaneo. Merito certamente della bravura dei musicisti ma anche di architetture compositive che mi fanno pensare a Bach. Ci racconta un po’ della sua formazione come autore?

R.Come ho già detto la mia formazione come autore si è definita nel tempo ascoltando migliaia di ore di Grande Musica e riflettendo su quanto sentivo, giorno dopo giorno, settimana dopo  settimana, mese dopo mese , anno dopo anno…..Ho studiato soltanto poco la composizione ma ho ascoltato e pensato molto creandomi un gusto  e una saggezza nelle scelte che mi hanno permesso di rifuggire da molti luoghi comuni che molte regole e molte rigidità dell’insegnamento possono comportare.  Questa è la mia esperienza e mi va bene così e non desidero aggiungere altro soprattutto perché quello che scrivo è quello che sento e che mi rappresenta. Bach è una presenza irrinunciabile per ogni musicista, sarebbe molto bello che ci fossero tracce sue nei miei brani, in questa occasione forse almeno in uno, ci sono…

D. Nelle composizioni di “Next” sono rintracciabili echi di rock, sono presenti melodie struggenti, atmosfere ambient, paesaggi urbani e futuribili, ma tutto con grande originalità. Ci parli della sua visione sui “generi” musicali.

R. Onestamente credo di esser molto ignorante sui “generi musicali”. Negli anni ho maturato delle predilezioni e tuttora posso maturarne altre, non ho preclusioni né limiti per nessuna fino a prova contraria; mi interessa la Musica che mi colpisce e mi commuove, a me non interessa la musica troppo ovvia o dozzinale che non mi accende emozioni e che non mi resta dentro. Gli echi di cui parla sono il riverbero di quanto ho assorbito dentro di me, lo chiamo “inner sounds”, e intendo tutto quello che ho sentito e ascoltato e vissuto in musica nella mia vita, come una spugna che ha assorbito molti diversi colori e può permettersi di definire ed espellere qualcosa di colorato che solo dalla sua esperienza può ricrearsi e realizzarsi.

D. So che non sarà facile rispondere alla prossima domanda ma ci provo: dei 10 brani del cd qual’è quello che meglio la rappresenta e perché?

R. Infatti non mi è facile rispondere, anzi proprio non posso rispondere. La ragione è che pur avendo ogni mio brano una vita propria e autonoma, quando viene inserito in una sequenza di un mio album può acquisire un significato particolare di urgenza necessaria, di presenza e dignità che da solo forse non ha a quel livello, fermo restando che potrebbe acquisirne altro in altre circostanze di collocazione. Il progetto vale in quanto i vari elementi differenziati che collimano possono avere un maggior significato nella loro progressione dell’ascolto più che non ascoltati singolarmente. Pertanto tutti hanno una loro funzione precisa e irrinunciabile nel mio progetto di sequenza e quindi acquistano qualcosa di insostituibile. Come faccio a dare una risposta con queste premesse?

D. È un momento felice per la musica Jazz in Italia; la stessa pandemia sembra abbia provocato un gran fervore creativo. Ci dice il suo punto di vista sulla cultura musicale italiana attuale?

R. In realtà c’è molta disoccupazione, si suona poco, molti giovani cambiano mestiere, la musica viene abbandonata per qualcosa di più solido su cui si possa contare. Questi sono i veri problemi che nella nostra musica possono incontrarsi mancando una legislazione che tuteli i musicisti anche di Jazz. La musica è stata tolta dall’insegnamento scolastico se non in pochi casi. Si cerca di continuare ma con molti sacrifici, ci sono molti giovani talenti straordinari che fanno molta fatica a continuare a produrre.

D. Domanda d’obbligo: ci parli dei suoi impegni e progetti futuri.

R. I miei impegni e progetti futuri sono “NEXT” e SAMADHI” oltre ad altre situazioni integrative con musicisti internazionali a metà anno e verso al fine dell’anno. Dipende da tante cose compresa la pandemia con la quale dobbiamo confrontarci. Inoltre sono sempre aperto ad altre esperienze che possono maturare ma non coincidono coi progetti strutturati e continuativi che sono i primi due menzionati.

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