Intervista al musicista e compositore Davide “Boosta” Dileo
a cura di Francesca Bruni
13 Giu 2025 - Interviste
Francesca Bruni ha raggiunto al telefono il musicista, DJ, compositore, produttore e co-fondatore dei Subsonica, Davide “Boosta” Dileo, che ci ha concesso un’intervista di grande interesse.
Davide Dileo, noto anche come Boosta, è un musicista, DJ, compositore, produttore e sound artist con una lunga carriera. Co-fondatore e tastierista dei Subsonica, Dileo ha contribuito a otto album di platino, vendendo centinaia di migliaia di copie. Il suo lavoro come produttore include collaborazioni con Mina, Placebo e Depeche Mode, tra gli altri.
Nel 2021, il suo album di musica elettronica e pianoforte Facile è entrato nelle classifiche di musica classica ed è stato trasmesso dai principali canali internazionali. Nello stesso anno, Dileo ha inaugurato il suo primo spazio espositivo a Torino, esplorando il suono come mezzo artistico trasformativo. L’anno successivo ha visto l’uscita globale del suo album in sei parti Post Piano Session con la sua etichetta, Torino Recording Club, che è stato eseguito in luoghi iconici, dal Servant Jazz Quarter di Londra a Castel Sant’Angelo a Roma.


Il lavoro di Dileo è stato presentato ed eseguito in prestigiose istituzioni, dal Teatro della Scala all’OGR e in collaborazione con artisti e performer acclamati come Roberto Bolle. Le sue opere incarnano la convergenza di suono, arte e spazio, in un’esperienza immersiva a 360°.
Per un approfondimento sull’ultimo lavoro di Boosta potete leggere l’articolo a questo link: https://www.musiculturaonline.it/nuovo-album-soloist-e-tour-di-davide-boosta-dileo/
INTERVISTA
Con il tuo nuovo progetto discografico da solista dal titolo “Soloist” sperimenti nuove forme espressive per una connessione intima e di condivisione; che valenza ha il suono in questo disco?
Il suono ha sicuramente una valenza alfa in questo disco: attraverso il suono si esprime tutto il racconto che metto in campo rispetto alla mia creatività, alla mia sensibilità, all’urgenza di fare questo disco. Naturalmente, attraverso il suono la musica diventa strumento nella vita delle altre persone. Tutti noi abbiamo una relazione binaria con la musica: o ci piace o non ci piace, o ci attrae o non ci attrae. Insomma, non è difficile. Quando certa gente dice “io non so, non capisco niente di musica…”: beh, a mio avviso la musica non è da capire. Se la vuoi capire, la puoi studiare, ma la musica è da sentire. Nel momento in cui la senti e ti trasmette qualcosa, evidentemente ti serve qualcosa. E questo è l’altro aspetto fondamentale. Il suono è il vascello che porta alla tua urgenza e porta la tua necessità nelle mani dell’altra persona, e nel momento in cui è di un’altra persona, l’altra persona sceglie cosa farne.
In “Soloist” il pianoforte viene spogliato del suo utilizzo tradizionale per dargli una nuova essenza, quali sensazioni vuoi trasmettere al pubblico?
Io non voglio trasmettere nessuna sensazione al pubblico. Faccio musica perché ho bisogno di farla e ho la necessità e l’urgenza di fare quello che faccio. I dischi non insegnano niente a nessuno. Però credo veramente, e ribadisco quello che ho già detto prima, che siano degli strumenti. Quindi, nel momento in cui mi rendo conto che quello che ho fatto può essere utilizzato da qualcuno a suo modo, per qualunque esigenza egli abbia, allora sono contento. Mi piace condividere, mi piace che il mio disco sia nelle orecchie e nel cuore delle persone. Ma non c’è un messaggio, specie in un disco strumentale. Credo che sia veramente l’idea di avere una colonna sonora “al tuo servizio”. E con “al tuo servizio” intendo dire che qualunque momento tu stia vivendo, puoi utilizzare qualche pezzo di ciò che stai ascoltando. È tutto qui.
Sempre riguardo a questo album, l’ascoltatore viene accompagnato per mano in un viaggio intimo, la musica può aiutare a conoscere la propria anima?








La musica può aiutare, punto. A qualcuno probabilmente può aiutare a conoscere la propria anima, a qualcun altro no perché magari la musica non è il suo strumento di elezione per arrivare a determinati obiettivi come quello di conoscersi. Ma, sicuramente, la musica aiuta, e questo perché è uno strumento neutro. La si può utilizzare a proprio piacimento, per fare cardio in palestra, per divertirsi con gli amici, quando ascolti le sigle dei cartoni animati, per ragionare, quando ascolti musica più complessa, per emozionarsi, quando ascolti il tuo cantante preferito… La musica serve per un sacco di cose. È uno strumento neutro, che è definito dall’utilizzo che ne facciamo.



All’interno di “Soloist” è presente una rivisitazione di “Black Hole Sun” dei Soundgarden del 1994; come si è evoluta la musica alternativa di allora rispetto ad oggi?
La musica è sempre in evoluzione. Penso che ci sia sempre un movimento orizzontale, definito dal tempo: c’è un passato, c’è un presente, ci sarà un futuro. E se la musica è specchio della società in cui viviamo, ogni società cambia, ha le sue esigenze, le sue nevrosi, la sua giovane “fetta” e la sua “fetta” adulta, ma anche la sua “fetta” anziana. Quindi la società cambia sempre e la musica la riflette. Ci sono delle cose che rimangono, hanno un respiro più lungo e sopravvivono; altre che invece vengono bruciate dalla contemporaneità e si perdono. Le cose che rimangono, ogni tanto è bello riprenderle in mano, perché hanno fatto parte, per esempio, del nostro passato. Adesso c’è meno profondità nell’ascolto, o meglio, per avere un ascolto più profondo devi scegliere di ascoltare con attenzione.


In un mondo individualista in cui ascoltare gli altri viene a mancare, secondo te, quanta importanza ha il silenzio nella vita di un individuo e soprattutto abbiamo bisogno di rallentare la quotidianità per apprezzare l’autenticità dell’altro?
Io credo che il silenzio sia fondamentale perché senza silenzio non c’è possibilità di ascolto. Nel momento in cui siamo in una cacofonia di grandi suoni facciamo fatica a sentire chi ci parla vicino; quindi, chiediamo di alzare la voce o mettiamo la mano all’orecchio per indirizzare di più il suono. Quindi, il silenzio è necessario per ascoltare se stessi e per ascoltare il prossimo. Senza silenzio non c’è ascolto, senza ascolto non c’è evoluzione. Credo fortemente, quindi, che senza silenzio non andiamo da nessuna parte. E in questo momento, il mondo è molto rumoroso, con rumori diversi: la città è rumorosa, l’uomo è rumoroso, ma è pure rumorosa la natura, per definizione. Non c’è mai il silenzio perfetto, non siamo nell’assenza di suono. E ci ricolleghiamo un pochino a quello che stavamo dicendo prima: senza silenzio, è difficile ascoltare. E quando ci sono tanti suoni, noi non siamo abituati a porre attenzione su quello che facciamo e veniamo distratti molto spesso. E la distrazione, a volte, è un valore perché – ammettiamolo – quando ti distrai scopri delle cose sorprendenti, che non avresti mai scoperto rimanendo concentrato. Detto questo, siamo in un momento rumoroso dell’esistenza.
Cos’è che accomuna l’elettronica al pianoforte?
Sono entrambi due strumenti nelle mani sia del compositore che dell’ascoltatore.
Gli strumenti che utilizzi diventano installazioni, basti pensare oltre al pianoforte anche alle tastiere che suoni durante le performance insieme ai Subsonica, divenuta iconica la famosa molla; cosa simboleggiano per te tali strumenti e nella tua musica ci sono riferimenti al compositore statunitense John Cage?
Per me le tastiere e, in generale, tutto quello che uso, sono strumenti funzionali a quello che voglio raccontare. Poi ci sono strumenti che amerò per sempre, come il pianoforte, e strumenti di cui mi appassiono solo per un periodo, come ad esempio alcuni sintetizzatori che ho avuto, amato, poi abbandonato. Ma rimangono comunque degli strumenti in mano alla creatività, ed è quella che dovrebbe sempre essere rigenerata. E a proposito di creatività, John Cage è più che un compositore, è un filosofo del suono: ha dato uno spazio altro alla musica, è riuscito a far suonare il silenzio, e questo per definizione è qualcosa di incredibile. E qualunque compositore sia in grado di avere una solidità di racconto tale da riuscire ad appassionare, per un musicista che ancora vuole fare tanta musica, come me, diventa fondamentale. Io amo suonare. Amo suonare e amo esprimermi, e naturalmente il palco ti permette di creare un momento di gioia, di condivisione; è lo spettacolo… e lo spettacolo va premiato e va celebrato.



Quali sono le differenze quando utilizzi il suono e le tecniche compositive da solista rispetto ai live con i Subsonica?
Non so se ci sono delle differenze. Sicuramente, nella composizione solitaria si è più liberi, si hanno meno vincoli. Nel momento in cui si scrive in contemporanea con altri quattro amici e soci, ci sono delle micro-regole che vengono date in automatico. Ad esempio, sai che magari a qualcuno non piace una certa sequenza di accordi, quindi la eviti; sai che il cantante arriva a quella nota, quindi non fai un pezzo con una nota che va quattro toni sopra o che va troppo in basso. Insomma, si radicano delle abitudini che poi devi scardinare e questo è possibile attraverso il lavoro da solista, che permette la libertà di fare tutto ciò che si vuole. Nel momento in cui si ritorna, poi, nei Subsonica, è ancora più bello perché quel momento ti è servito per liberarti di quelle “sovrastrutture” che ti sei fatto da solo.
Tu affermi che la musica è magia; a tuo parere, abbiamo bisogno di sognare in questo periodo attuale e quanto potere ha la musica nel fare questo?
Il sogno è fondamentale. Senza sogno non c’è la “scala mobile”, sia sociale o culturale. Se non sogni un futuro diverso, un futuro altro, semplicemente un futuro, non hai possibilità di sviluppare un percorso di vita che ti porti anche ad essere altro. Quindi credo fortemente al fatto che il sogno sia fondamentale, e la musica è senza dubbio uno strumento per avvicinarcisi.
Tornando a ritroso nel tempo, ricordiamo le tue bellissime colonne sonore per le serie tv “1992“e “1993” presenti nel tuo primo album in studio da solista “La stanza intelligente” uscito nel 2016; cosa ricordi di quel progetto e come hai vissuto questa nuova esperienza rispetto al suonare in gruppo con i Subsonica?
Ho sempre vissuto molto bene quello che faccio, con l’unica accortezza di fare quello di cui ho bisogno. Quando avevo bisogno di fare un disco con le canzoni; quindi, testi che avessero forma di canzone, l’ho fatto e ho avuto la fortuna di poterlo fare. Quando, in altri momenti, ho avuto bisogno di musica strumentale, l’ho fatta. Mi piace molto il cinema, mi piace molto la serialità, mi piace scrivere per immagini, perché credo che sia molto divertente. Cerco di fare tutto quello che voglio quando posso. La calligrafia, poi, cambia sempre negli anni, e questo è un dato certo. Adesso la mia calligrafia è questa, non è detto che tra qualche anno non cambi.
Hai realizzato una scuola di musica elettronica per l’infanzia; mi puoi parlare di tale progetto?
L’idea è quella che si trasformi dei piccoli laboratori di musica elettronica per i bambini in una scuola di musica elettronica per l’infanzia. La musica elettronica è definita dal suono, e l’idea di insegnare, o meglio di avvicinare, i bambini più piccoli all’ascolto di qualunque suono, quindi non necessariamente quello di uno strumento, prepara poi le persone all’ascolto del prossimo. Credo fortemente in questo. E poi la musica elettronica è una musica orizzontale, che non ha la barriera della tecnica, specie nella fase iniziale, e questo è molto affascinante, perché consente di giocare col suono. Credo sia un valore importante.


Nel 2026 festeggerai trent’anni di carriera assieme ai Subsonica; se dovessi dare una o più definizioni al tuo percorso artistico, quali daresti?
In divenire.
Ti ringrazio di questa bellissima intervista e di averci dedicato il tuo tempo.
Grazie, grazie mille. A prestissimo.