Intervista al duo sardo “Palazzo Rosa”
a cura della Redazione
2 Lug 2025 - Approfondimenti live, Interviste
Musiculturaonline ha incontrato “Palazzo Rosa” (Luca Dore e Alessandro Budroni), un duo nato a Sassari, in Sardegna, negli anni Dieci del ventunesimo secolo.
Luca Dore (voce e chitarra) e Alessandro Budroni (voce, pianoforte, armoniche, chitarra) si muovono dentro le soffitte e gli scantinati della musica d’autore.
I Palazzo Rosa hanno all’attivo l’album “Tanto Vale”, prodotto e distribuito dall’etichetta La Stanza Nascosta Records del musicista e produttore toscano Salvatore Papotto.
I protagonisti dei loro brani devono spesso salvarsi da un destino avverso, dallo spaesamento e dalla miseria, da donne violente o vedove protettive, da minacciose pleuriti e città vuote.
Palazzo Rosa è un luogo fatiscente e psichedelico al contempo, angusto sì, ma ricco di vita e di personaggi appassionati.
Il loro progetto musicale cerca di sposare la Linea rosa del cantautorato, desiderosa di non abbandonare il discorso sul racconto del sociale, ma guardato di sbieco, intriso di ironia e di amore per il grottesco.
Le sonorità richiamano al gusto artigianale del costruire canzoni, per vestirle non con abiti à la page ma con tutto quello che si trova nell’armadio di un condominio degli anni ‘70.
Per questo, nell’ultimo lustro di concerti live, hanno sparso, nell’aria di piccoli locali e snack bar, essenza di naftalina e vino rosso a favore di tutti i loro affezionati seguaci.


INTERVISTA
Siete più legati al “supporto fisico” o al digitale?
La parola legati di per sé implica un rapporto. Inevitabilmente è più saldo il legame con il supporto fisico, che ha segnato tutte le fasi della nostra crescita principalmente come fruitori di musica. Il supporto digitale è un formidabile mezzo per accedere in modo immediato a qualsiasi contenuto – questo è innegabile – ma è altrettanto onesto dire che prendere in mano un disco è un’altra cosa.
Quali sono i vostri riferimenti musicali?
Indubbiamente i cantautori nella “quasi” totalità. Oltre ai fondamentali: Dalla, De André, Battiato, Pino Daniele, includiamo anche i nostri “contemporanei” Gazzè, Bersani, sino a Brunori. In questo asse vorremmo includere anche tutta la genealogia “INDIE – di origine controllata” dai CCCP ai PGR. Il nostro lato esterofilo è illuminato da Pink Floyd, Beatles, Nirvana e tanti altri.
Il complimento (sulla vostra musica) più bello che vi abbiano mai fatto?
Ci fa piacere quando ci dicono di aver ascoltato il disco, non una volta ma tante, trovandoci a ogni ascolto qualcosa in più. Sapere che qualcuno ci dedica del tempo con attenzione ci lusinga e ci ripaga del lavoro fatto. È la cosa più emozionante da sentirsi dire.
“Tanto vale” non è solo un disco, ma anche un modus vivendi…è corretto?
Tanto vale è un assunto che di solito suona come un atto di rinuncia o, peggio, l’accettazione dell’ennesimo sopruso. In realtà dire Tanto vale può essere l’inizio di una rivalsa col destino, la prima possibilità di uscire da una situazione intricata o da un presente stagnante. Vuol dire anche lasciarsi alle spalle quello che nel passato ci ha bloccato.
La canzone di “Tanto vale” che secondo voi è meno “immediata”?
Potrebbe essere La diva del Continental Bar, anche se risulta poi essere la più apprezzata dall’ascoltatore più esigente.
Quella più riuscita?
Nel complesso sicuramente Città Vuota, che ha ricevuto una grossa spinta della produzione per essere lanciata come singolo attraverso anche un videoclip; risulta una delle più immediate e orecchiabili e forse quella che definisce meglio il nostro lato ironico e swing.
Nei vostri spettacoli live eseguite pezzi originali e cover. C’è una diversa accoglienza, nei due casi, da parte del pubblico?
Il nostro repertorio live seppur molto vario (include ad esempio anche pezzi in brasiliano) ha un comune denominatore riconducibile all’impronta della canzone d’autore. Questo permette ai nostri pezzi di essere accolti di buon grado da quelli che stanno apprezzando il mood, la situazione di per sé. Per dirla tutta se non annunciassimo i pezzi come nostri verrebbero presi come canzoni di questo o di quell’autore a seconda degli ascolti personali di ognuno.


Perché vi definite duo protocantautorale?
È un termine che adesso usiamo meno, ma all’inizio era la nostra cifra. Noi abbiamo cercato un modo di scrivere canzoni per raccontare situazioni e personaggi vicini a noi, della nostra città o dei nostri ricordi. Più o meno come facevano i pionieri di questo genere, definibili come protocantautori. Poi i cantautori degli anni ‘70 hanno allargato il respiro sia nei temi che negli arrangiamenti.
È stato divertente girare il videoclip del brano “La città vuota”?
Molto, sia perché nonostante la pioggia torrenziale del primo mattino il tempo è stato poi bellissimo e abbiamo girato nel cuore della nostra città (vuota in una domenica d’autunno all’ora di pranzo). In più siamo stati supportati da persone fantastiche: la nostra produzione con Salvatore Papotto e Claudia Erba; da Cagliari, Roberto Cadeddu alle macchine che ci ha reso le cose facili in un clima sereno e divertente. Senza dimenticare che abbiamo girato il video costantemente in contatto “Ultra Tirreno” con la regista Irene Franchi da Cecina.
Luca definisci Alessandro, Alessandro definisci Luca in un aggettivo!
Alessandro: difficile usare un solo aggettivo, di sicuro è l’unica persona insieme alla quale è stato possibile fare tutto il lungo percorso che ci ha portato fin qui. Con qualsiasi altra persona non credo lo sarebbe mai stato.
Luca: al di là della nostra trentennale conoscenza, Alessandro rimane sempre il mio cantante preferito. Inoltre, la sua capacità di comunicare e ascoltare le persone ci ha consentito di contare sull’appoggio di grandi musicisti, in una sorta di casting eccezionale che è stato determinante per la riuscita del disco.


Dove possiamo venire a sentirvi suonare prossimamente?
Nei migliori locali della nostra Città (vuota) e poi, visto che siamo in estate, speriamo anche in tante località sul Lungomare.



