Intervista ad Alfredo Marasti dopo l’uscita dell’album “Ultimo D’Annunzio”


a cura della Redazione

20 Giu 2022 - Commenti live!, Interviste

Intervista al cantautore Alfredo Marasti- Scoprire D’Annunzio porta lontano dal fascismo, vicino a un Ottocento romantico probabilmente non ancora superato… L’album “Ultimo D’Annunzio” è uscito il 25 maggio scorso.

Il 25 maggio è uscito su etichetta La Stanza Nascosta Records, Ultimo D’Annunzio, quinto lavoro in studio del cantautore Alfredo Marasti.

L’album è stato preceduto dalla pubblicazione del videoclip Al visitatore – traduzione in immagini di un’iscrizione scritta da Gabriele D’Annunzio e indirizzata contro Benito Mussolini, oltre cha dalla pubblicazione sui digital stores del singolo apripista La Stanza della Musica, a sua volta accompagnato da videoclip.

Tutti i videoclip sono diretti da Alfredo Marasti e Chris Mazzoncini, con Aldo Masini alla seconda camera.

“Ultimo D’Annunzio” è un ambizioso concept album, strutturato in 9 brani.

“Non si tratta di “adattamenti in musica” delle poesie dannunziane, ma di inediti che puntano a restituire un ritratto per frammenti, complesso e volutamente provocatorio, di un personaggio tra i più rappresentativi dei conflitti brucianti del primo Novecento: poesia e guerra, spirito libertario e superomismo, romanticismo e compulsione sessuale, anticonformismo e rituali di massa, destra e sinistra” – racconta Alfredo Marasti.

Cantautore, regista, scrittore e insegnante, Marasti vince nel 2006, con La luna e il ladro, il Premio Fabrizio De André nella categoria Miglior Interprete. Nel 2013 vince Musicultura XXIV Ed. nella sezione Miglior testo con Canzone per Mario, dedicata allo scomparso Mario Monicelli.

Musiculturaonline lo ha incontrato per una chiacchierata lucida e corposa tra decadentismo, dimensione cinematografica di “Ultimo D’annunzio”, pretese narrazioni ufficiali, smascheramenti e cancel culture.

D. Nell’era dei “singoli usa e getta” sceglie di uscire con un concept album…un antidoto alla imperante parcellizzazione della musica?

R. Un’ossessione, nata durante diverse visite al Vittoriale degli Italiani a Gardone Riviera. In un certo senso tutti i miei lavori precedenti sono stati dei concept, ma in questo caso c’era la precisa volontà di legare ogni canzone all’altra, secondo la successione di stanze allegoriche presenti al Vittoriale, ognuna delle quali mi dava l’occasione di raccontare un aspetto diverso del personaggio. So perfettamente che molti brani di questo lavoro, se uno non si sforza di approfondire la contestualizzazione, potrebbero risultare incomprensibili: ancor meno probabile che qualcuno noti, ad esempio, che quando nel brano n.2 (La Stanza della Musica) il cantato dice «adesso che il Quartetto è andato via», ci si riferisce al quartetto d’archi che suonava per D’Annunzio al Vittoriale. Quartetto che infatti si sente alla fine del brano n.1, Al visitatore, dunque, è effettivamente «appena andato via» anche per gli ascoltatori. Si tratta di scoprire i brani come si guardano le scene di un film: non avrebbe senso iniziare un film dal minuto 46, non ci capiresti niente. Nessuno ci fa più grande caso, ma quando ascolti, ad esempio, Non al denaro non all’amore né al cielo (De André, 1971) il terzo brano, Un giudice, si chiude con un inchino («prima di genuflettermi nell’ora dell’addio / non conoscendo affatto la statura di Dio»); il brano appena successivo, Un blasfemo, incomincia ribaltando il concetto e dice: «mai più mi chinai e nemmeno su un fiore». Sono piccole cose, simmetrie tra i brani che però impreziosiscono un disco, danno spessore, e non si possono cogliere se non appunto con un ascolto lento, lineare e progressivo, traccia dopo traccia. Qualcosa di cui si sta perdendo il senso, proprio a causa della parcellizzazione di cui parli.

D. Caro Pascoli, insegnami pure

che l’arte non caccia e non monta a cavallo

Ma sai che galoppando sui versi ti lascio indietro.

In Sala del Mappamondo D’annunzio si scaglia contro Pascoli. È sicuramente una domanda retorica ma gliela rivolgo ugualmente…quale “faccia” del decadentismo sente più affine?

R. Sarebbe facilissimo rispondere che preferisco D’Annunzio, se non fosse che sarei del tutto incapace di andare al galoppo, così come di maneggiare un’arma; non sono un fautore dell’estetismo, ancora meno del militarismo. Poter evitare il servizio militare, per questioni generazionali, ritengo sia stata una delle mie più grandi fortune: di fronte all’obbligo, sarei scappato. Di D’Annunzio mi piace ed emoziona il gusto per l’impresa, per l’avventura, mentre certe mie malinconie e nostalgie per l’infanzia temo mi leghino di più a Pascoli, anche se non farei un concept album su lui. Le sorelle, le api, i gelsomini… du palle!

D. Al visitatore smaschera la narrazione ufficiale, che presentava D’Annunzio come fedele gregario di Mussolini…

Narrazione che è stata voluta dal fascismo e anche solo per questo andrebbe superata, anche se basta un giro veloce su internet per trovare foto di D’Annunzio e Mussolini che conversano amichevolmente. Eppure, le contiguità sono almeno pari alle discontinuità e persino alle radicali differenze, anche se per capirlo è necessario, per l’appunto, andare oltre alle foto, studiare gli avvenimenti e considerare ad esempio che il fascismo ha sfruttato D’Annunzio, non il contrario.  Scoprire il mondo di D’Annunzio, le sue avventure, le sue malinconie, porta lontano dal fascismo, più vicino a un Ottocento romantico, risorgimentale e un po’ pomposo che – dicevano già De André e Gaber – probabilmente non abbiamo del tutto superato. Al visitatore è anche il primo di tre videoclip che formano una trilogia; io e il regista Chris Mazzoncini, con Aldo Masini alla seconda camera, abbiamo avuto la fortuna di poterli girare proprio al Vittoriale, mettendo a dura prova due attrici bravissime, Federica Guerra e Sara Bertolucci (rispettivamente nel ruolo di Luisa Baccara ed Eleonora Duse) in situazioni ipnotiche e stranianti. Persisto, come vedi, nella mia fissazione di abbinare musica e cinema.

D. Una buona metà dei brani traduce l’idea che del poeta ebbero le donne che l’hanno amato, odiato, sopportato. Da cosa deriva questa scelta, che privilegia il punto di vista femminile?

R. Deriva proprio dalla volontà di superare il concetto di “punto di vista femminile”: non esiste un solo punto di vista, è una generalizzazione che non dice nulla, finché non racconti la storia della singola donna. Per l’appunto si è sempre parlato della fortuna di D’Annunzio con “le donne”, ma mi sembrava più interessante capire quali donne, differenziare, anche per svicolare dal “dannunzianesimo” più trito. Così c’è la Luisa Baccara che se l’è sorbito vent’anni, poveretta, mentre lui non la voleva più e lei invece era ancora innamorata persa; Aélis Mazoyer che letteralmente gestiva il traffico delle sue amanti, in un clima di trasgressione gioiosa, spinta, ma anche grottesca (penso alla celebre vestaglia col buco, per nascondere la vecchiaia ma far uscire quello che lui chiamava «il monachino di ferro»). Poi Eleonora Duse, certamente la personalità a lui più affine, ancora immersa nel pineto. Infine, Il dono, che di per sé non c’entra nulla con D’Annunzio: parla di un’insegnante di religione che conoscevo, una donna che finisce per rifiutare l’idea dannunziana del piacere, abbracciando quella del sacrificio. Una vita triste.

D. Fiume! adotta invece il punto di vista di D’Annunzio, ribaltando la tradizionale visione dell’impresa come “anticamera del fascismo”…

R. E qui aggiro ogni tentativo di ricostruzione storica con un consiglio di lettura molto preciso: Poeta al comando di Alessandro Barbero, appena uscito in nuova edizione.

D. Notturno contiene accenti polemici nei confronti del presente, o sbaglio?

R. Più che contro il presente, ci sono accenti polemici nei confronti di quel complesso di atteggiamenti che viene semplicisticamente definito cancel culture. In ogni modo, più che polemizzare, intendevo proporre una riflessione su quanto sia sciocco e inutile cancellare ciò che non ci piace del passato con un colpo di spugna: pretendere poi di legare questa cancellazione a dei singoli casi, ad esempio tirando giù la statua di qualcuno, è ancora più stupido. Salvo pochi casi di assoluto disastro, giustamente condannati dalla Storia e dal buon senso, il passato ha sempre qualcosa da insegnarci, specialmente nei suoi aspetti più dissonanti. Notturno allude a questo e si chiude con le parole «è tornato il Novecento e vi ha spazzati via». Io di geopolitica non ci capisco assolutamente nulla, ma poche settimane dopo aver chiuso questo testo Putin ha lanciato l’invasione dell’Ucraina e tutti ci siamo ritrovati in un’atmosfera in cui sembra che il Muro non sia mai crollato, e tutti fatichiamo a prendere una posizione chiara proprio perché ci hanno cresciuto con l’idea che era tutto tranquillo. C’è molta pavidità.

D. Definirebbe “Ultimo D’Annunzio” un disco politico?

R. No, decisamente non lo definirei un disco politico. La politica è certamente uno dei temi, uno degli aspetti che compongono il ritratto, ma non è l’oggetto del ritratto. Eviterei questa definizione a maggior ragione nel contesto attuale, dove da un lato c’è la cancel culture di cui sopra, con cui si afferma di aver superato l’orribile passato, dall’altro, per logica conseguenza, viene proposta una culture che debba rappresentare il modello positivo, il presente che ha risolto tutto: dunque si è tornati all’idea che l’arte debba sempre e comunque essere pedagogica, educativa. L’ascoltatore che ritiene che “la politica” sia questo, potrà rimanere disorientato dal fatto che io parli di D’Annunzio, si domanderà se io mi identifichi o meno con lui, quale messaggio o “indicazione di voto” io volessi veicolare: tutte questioni completamente fuori luogo. Credo si possa intuire, da certe allusioni, da certi brani di testo, come io la pensi: ma appunto se questa fosse stata la dimensione preponderante, il disco si sarebbe chiamato Ultimo Marasti e la riflessione sul passato sarebbe stata inattuabile, proprio perché l’avrei appiattita sul presente e sul personale. Mi rendo conto che forse rischio grosso: con i tempi che corrono, certi ascoltatori potrebbero pensare che sia mia intenzione occupare Fiume.

D. La produzione artistica dell’album è sua e di Salvatore Papotto; che apporto ha dato, secondo lei, quest’ultimo al disco?

R. Direi che Salvatore ha assecondato e in almeno un paio di casi – Fiume e Notturno – impreziosito le mie suggestioni, supportandomi e sopportandomi durante una lavorazione che è stata molto difficile per almeno due motivi. Il primo è che è incominciata e forzatamente proseguita in piena pandemia e dunque a distanza, facendo sì che la maggior parte dei passaggi necessari a completare gli arrangiamenti, di per sé faticosi anche perché sono molto pignolo, siano stati in certi casi addirittura estenuanti; il secondo è che esisteva già una specie di bozza di Ultimo D’Annunzio, una tracklist completa anche se qualitativamente più artigianale e con varie differenze e brani mancanti, da cui però mi sono intestardito a voler recuperare certe cose che non sopportavo di rifare da capo, perché mi piacevano così. Questo ha voluto dire mettere insieme suoni artigianali e synth nuovi, voci fatte con microfoni diversi, insomma ha complicato la trama. Naturalmente io non riesco più ad ascoltarlo col giusto distacco, ma forse i due problemi di cui sopra hanno un po’ pesato, togliendo varietà e dinamica; gli amici che ne capiscono qualcosa però mi dicono che rispetto ad alcuni lavori precedenti c’è più uniformità, più coerenza interna. Conta che io volevo che suonasse buio, barocco, polverosamente epico ed elegante come l’ultimo D’Annunzio, ed effettivamente credo che suoni così. Quindi sono molto contento.

D. Vuole darci qualche anticipazione riguardante il libro che sta per pubblicare?

R. Molto volentieri. Si tratterà di una corposa monografia critica sull’ultimo Roberto Benigni, un personaggio raccontato in maniera opposta rispetto a D’Annunzio: un Benigni a mio giudizio sempre più corretto e meno scorretto, sempre più tendente al catechismo e meno alla cultura, due concetti per me in antitesi. 

D. Lei è anche un insegnante, si sente apprezzato dai suoi alunni? Più in particolare, qual è l’insegnamento che ritiene imprescindibile trasmettere loro?

R. Sull’apprezzamento mi avvalgo della facoltà di non rispondere. Anche perché dovrebbero dirlo loro. Forse posso dire che alcuni alunni mi apprezzano proprio non percependomi, per questioni anagrafiche, come insegnante fatto e finito. Quello che mi piacerebbe trasmettere loro è una specie di ecologia del cervello, della lucidità, dell’attenzione, costantemente ormai sotto la minaccia di distrazioni artificiali. Un’impresa impossibile dato che anch’io ne sono vittima.

Alfredo Marasti su “Musiculturaonline”:

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