In cerca della Sibilla Appenninica


di Alberto Pellegrino

27 Mar 2022 - Libri

Presentiamo l’elegante volume Nome non ha, con i testi di Loredana Lipperini e le illustrazioni della torinese Elisa Seitzinger, pubblicato dalla casa editrice Hacca.

A volte cose affascinanti e inaspettate nascono per merito di una piccola casa editrice come la Hacca di Matelica (MC) che pubblica pochi libri ma sempre eleganti e interessanti. È il caso di Nome non ha, un volume graficamente raffinato grazie alle immagini molto intriganti e significative di Elisa Seitzinger, artista e illustratrice torinese tra le più apprezzate per avere esposto le sue opere in numerose mostre collettive personali in Italia e all’estero. Il testo, scritto in una elegante prosa poetica, è di Loredana Lipperini, una scrittrice e conduttrice radiofonica (Radio3), che ha pubblicato saggi sulla musica e sulla cultura pop, sulla condizione femminile (Ancora dalla parte delle bambine, Feltrinelli), un’antologia intitolata Scrittrici della notte (Il Saggiatore), alcune opere di narrativa (L’arrivo di Saturno, Magia nera, La notte si avvicina, Danza macabra, Bompiani).

Un silenzio che “parla” attraverso tante voci

Rimasta affascinata dal mito della Sibilla Appenninica, la Lipperini ne ha rielaborato la storia rivestendola di atmosfere poetiche, ambientandola a Serravalle, cioè nel cuore profondo delle Marche montuose, dove le tradizioni resistono ancora all’assalto del tempo. Nasce così un libro particolare difficilmente collocabile in un preciso genere narrativo, perché in esso si mescolano la fiaba d’iniziazione, il fascino della narrazione e della poesia, a volte persino i ritmi della pièce teatrale.

Il racconto prende l’avvio da una costatazione di fondo: La Sibilla appenninica non è presente tra le dieci Sibille catalogate dallo storico Varrone e non è compresa tra le dodici Sibille conosciute nel Rinascimento, eppure essa ha dato vita ad una grande leggenda popolare e letteraria nota in tutta l’Europa. Eppure la nostra Sibilla ha avuto la sua dimora segreta in una grotta del Monte Sibilla ed è stata la regina di queste alture e queste valli della Marca centrale fino a dare il proprio nome ai Monti Sibillini. Il suo mito è stato incrementato da storici, antropologi e saggisti vari; di lei hanno parlato poeti e scrittori come Philippe de Tahon (Le livre del Sibile, XI-XII secolo) e Cecco d’Ascoli (L’Acerba); nel Quattrocento Andrea da Barberino (Il Guerrin Meschino), Felix Hennerlin (Simplicianus) e il Pulci; nel Cinquecento Ariosto, l’occultista Giovanni delle Piane e Antoine De la Salle (Il Paradiso della Regina Sibilla); nell’Ottocento Wagner con il suo Tannahauser; nel secondo Novecento Fabio Santilli e Mauro Cicarè (Sibilla. Dalla metafora della perdizione alla metafisica del territorio). Ma è stata soprattutto Joyce Lussu a tracciare un nuovo quadro storico-antropologico delle Sibille, ridisegnando la loro presenza sul territorio come apportatrici di cultura e di civiltà al femminile, per cui i suoi studi sono diventati un punto di riferimento per l’autrice del libro.

Un’assenza/presenza di colei che “Nome non ha”

Nonostante quest’assenza/presenza, la Sibilla ha sempre parlato perché, nonostante la voce delle donne sia stata temuta in tutti i tempi, “le Sibille parlano a dispetto del timore degli uomini, e nonostante tutto attraversano i secoli nei deserti nelle montagne e nelle grotte, ballano nei boschi come le ninfe e sono fatte di luce come le elfe”.

Le leggende e le voci narranti corrono ancora tra il Monte Vettore e il Monte Sibilla; hanno lasciato un segno con i nomi di cime e valli, forre e crepacci che si chiamano Cima del Redentore, Infernaccio, Pizzo del Diavolo, Palazzo Borghese, Monte Porche, Forca di Presta, Lago di Pilato, fiume Aso che nasce dal Monte Sibilla e prende il nome dal dio dei Galli. Non è facile nascondere o dimenticare certe storie, perché esse “vivono comunque: non ci sono abbastanza rovine e pietre e frane e ruderi per seppellirle, esse si apriranno, fessure che ne condurranno la voce per il mondo […] perché le storie mettono radici invisibili e profonde, e i nostri pensieri, e dunque le nostre azioni, muteranno dopo averle incontrate”.

La storia ha inizio con tre giovani donne (Camilla, Marta e Tony) che decidono di lasciare la città per fare un viaggio fino al Mare Adriatico ma, nell’attraversare gli Appennini, la loro vecchia automobile le tradisce e rimangono bloccate a Serravalle di Chienti, un piccolo paese al confine tra Umbria e Marche.

L’incontro con una moderna Sibilla

È domenica ed è tutto chiuso, il sole d’agosto picchia forte e l’unico rifugio è una chiesa dedicata a Santa Lucia, dove vedono dipinte sette immagini femminili (di cui una completamente nuda) che rappresentano sette Sibille: la Tiburtina, la Cumana, l’Eritrea, la Delfica, la Cumea, la Persica, l’Eutropia, tra le quali manca la nostra Sibilla (da questo nasce il titolo del libro Nome non ha). Ben presto le tre ragazze incontrano Viola, uno strano personaggio un po’pittrice e un po’ narratrice, che ha deciso di lasciare la “civiltà urbana” per vivere fra i nostri monti. Sarà lei ad ospitarle nella sua casa, a invitarle a una cena/cenacolo che si terrà la sera in un’altra sua casa, centro culturale e di ricerca animato da sette amici e amiche (storici, letterati, antropologi) con i quali si rievocheranno le storie della Sibilla e di altre magiche creature che hanno animato tutto quel territorio. 

Sette è il numero esoterico che attraversa tutta la storia: sette sono le Sibille, sette i compagni di Viola, sette le vergini del Canone romano come Santa Lucia, sette le Pleiadi e i colori dell’arcobaleno, sette le sfere planetarie, sette le braccia del candelabro di Salomone, sette le corde della lira di Orfeo e sette i guerrieri contro Tebe, sette le gerarchie celesti, sette i cieli, le terre e i mari, sette le porte della grotta della Regina Sibilla. Una strana commistione tra mito e religione è l’accostamento tra la Sibilla e la Vergine Maria alla quale sono dedicate sette chiese: Santa Maria in Pantano detta anche Santa Maria delle Sibille perché vi sono raffigurate la Frigia, la Delfica, l’Ellespontica e l’Agrippa, Santa Maria in Lapide a Montegallo, Santa Maria dell’Ambro, Santa Maria in Casalicchio, Santa Maria della Cona a Castelluccio, Santa Maria delle Scalelle, Santa Maria Assunta di Polverina e Santa Maria di Foce. Se si traccia una linea tra tutte queste chiese dei Monti Sibillini si forma un trapezio come la costellazione della Vergine.

Chi è in realtà la Sibilla?

Cambiano i nomi ma rimane la realtà di una tradizione di donne sapienti che sono maghe e medichesse, che insegnano l’agricoltura e i mestieri, che amministrano la giustizia con saggezza antica, senza mai fare la guerra. Nasce pertanto una riflessione sulla condizione delle donne nel corso dei secoli, viste come streghe o tentatrici dagli uomini che temono di vedere intaccato il loro potere, mentre delle donne sagge non vengono ascoltate come Cassandra o bruciate sui roghi che per secoli hanno tristemente punteggiato l’Europa.

Le tre ragazze hanno una personalità diversa: Marta è razionale e realista, mentre a Tony sono sempre piaciute le storie di magia; è soprattutto Camilla a rimanere affascinata, perché vuole accantonare i suoi problemi nati da amori sbagliati, dalla mancanza di lavoro, dalla difficoltà di vivere in un mondo di arrivisti stressati dalla corsa al successo.  Camilla vuole vivere almeno per un giorno una fiaba meravigliosa, per cui si lascia cullare da queste leggende, ritrova il sorriso e si sente felice, affascinata da storie che hanno come sfondo monti e boschi e come protagoniste fate e maghe, divinità dimenticate e donne straordinarie, cavalieri e madonne nere, mentre tutto ruota intorno alla figura poliedrica Sibilla, un personaggio ancestrale che racchiude in sé una narrazione universale. Tutti, uomini e donne, hanno vissuto una serata speciale: “La notte è stata quieta…le stelle luminose e fitte come corolle sopra le montagne. La luna è alta e più dorata che argentea. Ma in lontananza, sul prato, sembrano accendersi decine di fiammelle che danzano nell’oscurità, così come si accesero intorno ai corpi delle donne accusate di correre al seguito di Diana nel gioco notturno…È come se quelle fiammelle invitassero a proseguire quel gioco, a renderlo quello che è: sapere di passare da una mano all’altra, finché le mani si uniscono e diventano un’unica grande onda”. La magica notte sta per finire e le prime luci dell’alba si scorgono all’orizzonte, le tre ragazze vanno a dormire ma, se fossero rimaste sveglie, forse avrebbero visto che a Viola “i capelli si allungano nel vento, e sotto la gonna appare, solo per un momento, uno zoccolo di capra o la coda di un serpente o qualunque cosa si voglia vedere nel bagliore del primo raggio di sole”.

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