Il sogno di una cosa: quando il passato ritorna presente
di Elena Bartolucci
30 Lug 2025 - Commenti teatro
Le parole di Pasolini rivivono grazie alla bravura di Elio Germano e Teho Teardo.
Fermo – Lunedì 28 luglio, al Teatro dell’Aquila, è andato in scena Il sogno di una cosa, liberamente tratto dall’opera di Pier Paolo Pasolini pubblicata nel 1962, con Elio Germano e Teho Teardo.
Lo spettacolo era inizialmente previsto a Villa Vitali ma è stata cambiata location all’ultimo minuto a causa del maltempo. Una scelta che ha sicuramente messo in difficoltà la gestione del pubblico pagante dato che i posti a sedere sono stati “riassegnati”, ma soprattutto è stata forse penalizzata la riuscita della serata per un suono non all’altezza che non ha permesso a tutti di gustare a pieno uno spettacolo così evocativo.
L’opera omonima di Pier Paolo Pasolini viene proposta in una versione di parole e musica molto sui generis: il compito di Teardo, notevole musicista, compositore e sound designer, è stato principalmente quello di ricreare rumori di sottofondo combinando il suono della sua chitarra con musica elettronica e suoni vari come mormorio di persone, pioggia, vento e campane squillanti, accompagnati dalla recitazione essenziale ma dalle molteplici sfumature di Germano, che si è cimentato anche nelle vesti di musicista suonando tra l’altro l’organetto, nacchere, campanacci o altri strumenti musicali più o meno tradizionali.
Lo spettacolo tratta la storia di tre ragazzi friulani – Nini, Milio ed Eligio – alla soglia dei vent’anni che, nel pieno della loro (breve) giovinezza, provano ad affrontare il mondo del dopoguerra. Siamo infatti nel 1948 e il loro unico vero obiettivo è il desiderio di vivere felici, fare la bella vita scappando illegalmente in un paese straniero, la Jugoslavia, e sognare la rivoluzione comunista. Peccato però che i problemi legati all’indigenza derivante dalle umili origini contadine, il fattore dell’emigrazione, le lotte politiche, l’integrazione nella società borghese del boom economico li porteranno a fare poi i conti con quello che significa diventare improvvisamente adulti e come sia necessario scendere a compromessi per non morire di lavoro. Alla fine, il sogno di una società più equa nel racconto sembra quasi un’utopia se collegato all’attuale situazione sociale e lavorativa del mondo contemporaneo.
Nelle note allo spettacolo, è possibile leggere: “Pasolini ci parla con le voci delle persone che dall’Italia del secondo dopoguerra, stremate dalla povertà, sono scappate attraversando illegalmente il confine per andare in Jugoslavia, attratte dal comunismo e con la speranza di trovare un lavoro dignitoso e cibo per tutti. Vista oggi è una specie di rotta balcanica al contrario che attraversa il medesimo confine che attualmente i profughi in fuga percorrono per venire in Italia. Forse lo abbiamo dimenticato, ma c’è stato un momento, non molto tempo fa, in cui eravamo noi a ricorrere ai passeur”.
La miseria, il forte desiderio di riscatto, i sogni infranti, le speranze deluse e la fame vengono raccontati in modo semplice ma dettagliato permettendo così allo spettatore in poco più di un’ora di ripercorrere un pezzo molto triste della storia italiana, “giocata” però con suoni vari che permettono di creare una sorta di percorso multisensoriale.
Purtroppo, il racconto, molto pregnante e dai dialoghi intensi, è risultato essere molto statico a causa anche della disposizione immobile di entrambi gli interpreti sul palco, che si sono alzati solo sul finale, ma soprattutto per la scelta di impostare la performance come una mera lettura infarcita ogni tanto di dialoghi di voci registrate, che davano maggiore colore alle parole lette.
Inoltre, l’assenza completa di una scenografia ha reso tutto piuttosto sterile: era presente solo una lunga console che ospitava da una parte la strumentistica musicale e dall’altra un leggio, mentre ai lati erano state disposte due semplici lampade che, con una luce calda e soffusa, hanno comunque saputo creare un’atmosfera intima sul palco.
Lo spettacolo, che è una produzione Pierfrancesco Pisani, per Infinito e Argot Produzioni, in coproduzione con Fondazione Teatro della Toscana e con il contributo di Regione Toscana, fa parte del cartellone dell’edizione 2025 di Villa in Vita Fermo Festival promosso dal Comune di Fermo insieme all’AMAT.





