“Francesca da Rimini”: il nuovo allo Sferisterio


Alberto Pellegrino

28 Lug 2004 - Commenti classica

Opera poco frequentata eppure monumentale, lontana dal gusto tipico del melodramma italiano con i suoi richiami a Strauss, Debussy e Ravel eppure passionale e malinconica, questa Francesca da Rimini di Riccardo Zandonai colpisce per la sua monumentale costruzione armonica, per i richiami ad un decadentismo di stampo dannunziano giunto al culmine del suo splendore, ma anche ad un punto di non ritorno, quando una società opulenta e paganeggiante avverte più o meno inconsciamente i segnali di imminente e furiosa tempesta. Non a caso Zandonai compone il suo capolavoro nel 1914 e il rumore di sciabole che percorre l'Europa sembra risuonare cupamente per tutto il secondo atto, dove gli eventi bellici si contrappongono alle prime avvisaglie di una passione amorosa sul punto di esplodere in tutta la sua virulenza. Per persino la fastosa e perversa allegria (minata dall'inganno dei Da Polenta nei confronti di Francesca, a cui fanno credere che il suo sposo sarà Paolo il Bello e non lo sciancato Gianciotto Malatesta) nasconde dietro il fasto dei cortei nuziali, il canto dei menestrelli, il lieto cicalare delle ancelle come un rombo lontano di tragedia che solo Samaritana, la sorella di Francesca, sembra cogliere nel proprio animo addolorato per la partenza di lei. L'inizio del terzo atto è segnato dalla bella canzone del “calen di marzo” cantata in onore di Francesca dalle quattro dame di compagnia Biancofiore, Garsenda, Altichiara e Adonella (le brave Roberta Canzia, Rossella Bevacqua, Francesca Rinaldi e Sabrina Modena), ma per tutta la parte restante è dominato da atmosfere intimistiche, dove la passione si mescola alla malinconia nell'incontro fatidico fra i due celebri amanti splendidamente interpretati da Daniela Dessì (Francesca) e Fabio Armiliato (Paolo), che sanno conferire ai due protagonisti la dovuta sensualità senza rinunciare alla drammaticità e alla interiorità dei rispettivi ruoli. Altrettanto valido il quarto atto (unitamente all'atto precedente la parte più alta e coinvolgente della partitura), quando la tremante e travolgente passione di Francesca e Paolo si scontra con la furia belluina e sensuale di Malatestino (affascinante invenzione dell'ingegno dannunziano), con la violenza barbarica e l'oscura rabbia di Gianciotto Malatesta (magistralmente interpretato dal baritono Alberto Mastromarino). A completare il successo di questa operazione di “restauro” e di recupero hanno contribuito la sicura direzione del maestro Maurizio Barbacani e l'appassionata messa in scena di Massimo Gasparon che ha firmato, oltre alla regia, la bella scenografia e i lussureggianti costumi. Gasparon sceglie la cifra interpretativa di un medioevo segnato da forti ascendenze bizantine con scene e costumi caratterizzati da una dominante presenza dell'oro con richiami alla fastosità decadente e geniale di un Klimt. Particolare attenzione viene posta alla colorazione degli abiti dove l'oro s'intreccia sistematicamente al verde di Tessaglia, all'arancio – corniola, al rosso porpora, al blu e all'azzurro, fondendosi magicamente con le perle e le pietre dure degli ornamenti. Alla Bisanzio ravennate si richiama la grande cupola centrale alta 14 metri e coperta da un mosaico a tessere d'oro, che rappresenta di volta in volta una sontuosa sala nobiliare, una loggia dalle preziose architetture, la stanza dove si consuma la passione e il sacrificio di Francesca con al centro un talamo – altare, luogo deputato d'amore e di morte. Ancora a Bisanzio si richiama il corteo nuziale di uomini e donne che ricalca nei suoi moduli iconografici i cortei di vergini e santi dei mosaici ravennati. Solo nel secondo atto, quando la scena si trasforma ruotando in un torrione drammaticamente nero, la barbarica virulenza delle scene di guerra si affianca alla rituale eleganza di corazze e abiti femminili. L'opera nel suo complesso riesce a trasmettere nello spettatore l'opulenza e la sacralità propri del teatro dannunziano con la forza a volte drammatica, a volte intima e dolce della musica di Zandonai in un impasto che rende efficace e gradevole questa edizione maceratese della “Francesca”, secondo appuntamento del cartello dello Sferisterio, occasione da non mancare per quanti amano il melodramma e vogliono completare il loro bagaglio di conoscenze per quanto riguarda ad un teatro in musica abbastanza raro da vedere.
(Alberto Pellegrino)


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