Folla di stranieri al Festival Puccini 2003


Silvana Scaramucci

8 Ago 2003 - Commenti classica

Torre del Lago Puccini – Non ha il rilievo che merita il Festival Puccini che da quarantanove anni propone a tutto il mondo dei melomani un'occasione di rara qualità per entrare nel merito di un repertorio monografico caratterizzato dalla ricerca e dalla raffinatezza interpretativa delle partiture musicali del grande maestro toscano. Non – almeno – sulle testate locali e nazionali, giacchè il numeroso pubblico che assiste ogni sera alle varie rappresentazioni in cartellone, specialmente in questa edizione 2003, tributa il giusto onore sfidando l'insolita calura di un'estate afosissima, in special modo sul lago di Massacciuccoli e le difficoltà del reperimento di un alloggio che non sia di fortuna. Le migliori gratificazioni al Puccini Festival vengono tuttavia dal pubblico internazionale, a giudicare dalla folla degli stranieri che frequentano Torre del Lago in questi giorni, ammaliati dall'accurato lavoro di filologia musicale che sottende le proposte dell'edizione duemilatrè. L'efficientismo della Fondazione Puccini, che ha predisposto la vendita on line e telefonica dei biglietti (www.puccinifestival.it 0584-359322), ha facilitato il tutto incoraggiando anche i più timorosi alla prenotazione anche all'ultimo momento, non di meno sta lavorando l'ufficio stampa diretto da Alessandra Delle Fave. Il cartellone di questa edizione vede quattro titoli tra i più popolari del repertorio pucciniano: La Boheme, Madama Butterfly, Turandot, Manon Lescaut, con messinscene e cast d'autori d.o.c.- Per questioni logistiche la nostra testata ha assistito soltanto alle prime due opere, tanto è bastato per operare un confronto con altre manifestazioni musicali di tipo similare e per renderci conto di che cosa voglia significare un festival monografico dedicato a un autore molto rappresentato. Prima di tutto intendiamo segnalare la pertinenza delle voci tenorili e sopranili, finalmente azzeccate secondo i procedimenti musicali e rappresentativi degli intenti del maestro Puccini, informati alla tecnica scevra da virtuosismi, rispettosa dello stile melodico che ne costituì la peculiarità nel rinnovamento del repertorio operistico post-romantico e, alla pari, lo sforzo rappresentativo di coniugare la teatralità con lo svolgimento dell'esecuzione che – teniamo a sottolineare – privilegia sempre e comunque il racconto musicale nelle sue varie modulazioni.
LA BOHEME
L'impianto dell'opera resta classico ma con accorgimenti innovativi di grande intuizione come solo riesce a fare un grande della regia teatrale, come è appunto Maurizio Scaparro cui deve essere riconosciuta la finezza di lettura tra le righe che la partitura pucciniana riserva a quanti, pochi a dire il vero, riescono a capire le infinite modalità interpretative che possono essere còlte in diversi contesti di tempo e di spazio. Una simbiosi unica quella di Scaparro e di Jean Michel Folon che ha studiato ad hoc scene e costumi pur mantenendosi in un'area di tradizione. Così lo sviluppo musicale si snoda in un contesto intriso di arte e cultura autenticamente bohemienne, avulso da bruschi cambi di scena o da artefatti quadri d'interni. Sul palcoscenico del gran Teatro all'aperto sul lago si è aperto un vasto studio pittorico ottenuto con pochi e sapienti espedienti: un immenso cavalletto da pittore per lo sfondo su cui il giuoco delle luci (a cura di Davide Ronchieri) connota il cambio di scena e di umori, una tavolozza per acquerelli sul pavimento, qualche gradone per significare la modulazione degli interni e degli spazi destinati ai diversi ruoli, un dispiego di colori, luci e modulazione di angoli per indicare gli esterni/interni del gran caffè de Paris e della dicotomia notte/giorno parigina. Ma la regia ha lavorato in modo innovativo soprattutto sul dualismo vita/morte, rispettando pienamente l'intrinseco valore dei sentimenti che animano la varietà dell'esistenza: gaiezza, spregiudicatezza (soprattutto in Musetta), vitalità ad ogni costo, ottenuti con gran profusione di ironia e salacità (in fondo, non era toscano Puccini?), seriosità e dolore sull'incombere dell'epilogo drammatico. La bacchetta del maestro Alberto Veronesi, che del Festival è anche direttore artistico,ha diretto l'Orchestra Città Lirica e l'omonimo Coro del maestro Bruno Vicoli, nel pieno rispetto dei toni del repertorio pucciniano, valorizzando al massimo, oltrechè la musica anche le splendide voci di Carla Maria Izzo-Mimì, Ramon Vargas-Rodolfo, Virginia Wagner-Musetta, Vladimir Stoyanov-Marcello. Ancora due rappresentazioni in cartellone: il 9 e il 17 agosto.
MADAMA BUTTERFLY
Il ruolo fondamentale di un Festival, come dicevamo in apertura, non è riproporre un repertorio ma soprattutto interpretarlo intuendo quanto cambia nei gusti e nei contesti umani al fine di rendere sempre valido e interessante un lavoro operistico di grande visitazione. La Madama Butterfly dell'edizione duemilatrè del festival di Torre del Lago Puccini ha risposto pienamente a questi principi offrendo un allestimento dell'opera in questione incentrato sulla psicologia dei personaggi, sulla simbiosi con la natura, l'ambiente e le culture che si confrontano/scontrano nell'eterno dissidio EROS e THANATOS. Il primo merito che balza al cuore attento degli spettatori è il rispetto dei sentimenti che animano l'amore della dolcissima Cio Cio San per lo sprezzante e volubile Pinkerton. Non riteniamo di peccare di sciovinismo se sottolineiamo subito la delicatezza psicologica che ha guidato la regia di Vivien A. Hewitt a calarsi nelle pieghe recondite dell'animo della tenera Butterfly, provata su più fronti dal dolore di sentimenti frustrati di figlia, persona, sposa e madre, riuscendo a coinvolgere il pubblico fino all'emozione. Due donne hanno restituito pathos a un'opera, qual è la Butterfly, troppo visitata esclusivamente per la partitura musicale. Qui tutto è curato al meglio: la scenografia dello scultore Kan Yasuda, che conferisce all'ambientazione giapponese quell'aura esotica e raffinata di cui s'innamorò Puccini, mettendo in risalto la mutevolezza della natura orientale che influenza inevitabilmente gli umori umani disponendoli alla dolcezza, alla gioia, alla malinconia al dolore; l'elegante profusione di lusso ricercato ma mai volgare dei costumi curati da Regina Schrecker; il dispiego delle comparse e del Coro Lirico Toscano diretto dal maestro Stefano Visconti; l'appropriato uso delle luci soffuse, a tutto campo e/o chiare sui passi salienti e vocalistici dell'opera (curate da Valerio Alfieri). Due donne, dicevamo, hanno firmato una delle più belle edizioni di Madama Butterfly: la regista Vivien A. Hewitt e la direttrice dell'Orchestra Città Lirica, maestro Kari Lynn Wilson. Ne è emerso un lavoro armonioso e curato fin nei dettagli, dove ogni meandro della partitura ha un ruolo di primo piano, dove forte si coglie l'intensità dei sentimenti vissuti nelle distinte modulazioni fra pienezza dell'esplosione amorosa e dramma dell'attesa prima e del suicidio dopo. In particolare, ciò che distingue questo allestimento da altri che abbiamo pur gustato è la resa della dolcezza del rapporto d'amore che s'instaura fra l'adolescente còlta incontaminata dallo sconvolgimento dei sensi e del cuore e il navigato Pinkerton. Particolare questo, messo in luce sia dalla regia che dalla direzione d'orchestra, volutamente tenuta su toni medio-bassi, quasi in sottofondo, per consentire al soprano Veronica Villarroel – ma un po' a tutto il cast vocalistico – la massima espressione della tecnica e del talento di cui dà prova. Il ruolo di Suzuki, nella serata del 3 agosto ha visto l'interpretazione del mezzosoprano Mariella Guarnera cui va riconosciuta bravura tecnica, soprattutto nelle modulazioni tonali e performance scenica.
(Silvana Scaramucci)


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