FERMO (AP): “Traviata” apre la Stagione Lirica


Francesco Massi

18 Nov 2002 - Commenti classica

Sarà per la storia stupenda di amore e morte mutuata da Dumas dal librettista Piave. Sarà per la straordinaria e penetrante musica verdiana che racconta ogni scena interpretando perfettamente con le note gli stati d'animo ed il caleidoscopio d'intense emozioni che le situazioni creano ogni istante. Certo è che la Traviata è un'opera che penetra molto nella sensibilità dell'ascoltatore, lo rende partecipe, lo fa entrare in modo soft nella bellezza globale della rappresentazione, nelle sue fasi e sfumature che vanno dalla gioia estrema al dolore più tragico. Tutto questo ha portato al pubblico, ancora una volta, l'edizione che ha aperto la stagione lirica del Teatro dell'Aquila di Fermo. Una coproduzione di quest'ultimo con il Pergolesi di Jesi con l'allestimento firmato da Beni Montresor e ripreso da Nadia Matteucci. La messa in scena ripropone in sostanza l'ambientazione classica della vicenda nell'epoca ottocentesca. Alcune scelte sceniche, specialmente nel primo atto, lasciano qualche perplessità . Colori scuri ed ombre di alberi quasi minacciose, su uno sfondo a piano rialzato, i movimenti rallentati dei servitori con candelabri, offuscano il clima di allegria e giovialità della festa iniziale e gli ardori amorosi di Alfredo e Violetta. Un contrasto che sembra dissonante ma che può essere interpretato come un'anticipazione, quasi un presagio del dramma finale, che s'insinua fin dall'inizio, contenuto già nell'esasperata e spensierata allegria festaiola. Decisamente poco convincenti i pannelli di specchi verticali laterali alla scena che richiamano vagamente la straordinaria ormai storica scenografia di Svoboda, ma che qui non rendono nè significato nè effetto estetico. Per il resto l'allestimento scenico è essenziale, non lascia spazio a fronzoli, nel complesso buono anche se manca di un guizzo di creatività che in un'opera così tanto rappresentata non guasterebbe. Ma la serata ha consacrato la bravura eccezionale di Eteri Lamoris, una giovane Violetta con una voce bella e penetrante senza cadute d'intensità , calda nelle fasi di allegria, efficace nel rendere i momenti drammatici, il tutto accompagnato da una formidabile forza teatrale nell'interpretare l'emotività variegata del personaggio. Più statico nei movimenti l'Alfredo, il tenore Ignacio Encinas, con una voce all'inizio dalla tenuta incerta specialmente nel primo atto che ha recuperato nel seguito della rappresentazione pur non raggiungendo mai i livelli qualitativi della Lamoris. Eccellente nell'interpretazione vocale ed autorevole nella presenza scenica il baritono Barry Anderson, un Germont padre impeccabile sotto ogni aspetto, personaggio difficile da interpretare dove si alternano e mescolano autorità ed umanità paterna. Tutti gli altri interpreti hanno contribuito a rendere comunque appassionante come sempre quest'opera. Belli, eleganti e fedeli all'epoca i costumi delle dame, come ci si aspetta. Piacevoli i balletti del secondo atto (con ballerini fermani) che rendono ancor più l'aria godereccia e spensierata di una Parigi ottocentesca dedita al divertimento fatuo. Eccellente, con particolare equilibrio tra archi e fiati nei brani non cantati, la Filarmonica Marchigiana diretta da Marcello Rota che ha sostituito l'assente prevista direttrice Anne Overbj. Ottimo anche il coro lirico Bellini diretto da Carlo Morganti.
(Francesco Massi)


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