“Ariodante” di Händel al Palais Garnier di Parigi
di Alma Torretta
26 Set 2025 - Commenti classica
A Parigi grande successo per il mezzosoprano Cecilia Molinari nel ruolo titolo in “Ariodante” di Händel. Ottima la direzione d’orchestra del maestro Raphaël Pichon. Regia di Robert Carsen.
(Foto di @GuerganaDamianova/OnP)
Dopo due false partenze, causa scioperi, finalmente è stata inaugurata la nuova stagione dell’Opera di Parigi al Palais Garnier con la proposta di una delle più belle opere di Georg Friedrich Händel, Ariodante, che il compositore tedesco scrisse come sua prima opera da rappresentare, nel 1735, al Covent Garden di Londra, teatro inizialmente dedicato a spettacoli teatrali leggeri e di balletto, in occasione quindi della sua prima stagione operistica. Il compositore scrisse “Ariodante” con particolare cura, anche perché in concorrenza aperta col principale teatro lirico londinese del tempo, il King’s Theatre.
L’opera è quindi è un florilegio di arie virtuosistiche, ben 25 arie da capo. Particolarmente bello il ruolo del principe Ariodante che alla creazione fu affidato al castrato Giovanni Carestini. Al Palais Garnier il personaggio è stato interpretato dal mezzosoprano Cecilia Molinari, al suo debutto all’Opéra de Paris, che ne ha regalato una versione particolarmente gentile, ricca di sfumature, meravigliosi i suoi pianissimo e filati, ma anche capace di virtuosistici, appassionati slanci d’amore per la sua Ginevra, assai credibile e toccante pure nell’esprimere la disperazione più nera quando crede di essere stato tradito, strappando gli applausi con la sua famosa aria “Scherza, infida” del secondo atto. Un ruolo tratteggiato scavando nella profondità psicologia del personaggio e cantato con tanta bravura.



Al suo fianco, nel ruolo di Ginevra, il soprano inglese Jacquelyn Stucker, brava ma dal timbro un po’ troppo scuro per il ruolo e con dizione italiana da perfezionare, che purtroppo quindi non forma la coppia ideale con il luminoso Ariodante della Molinari.
Ma a parte questa scelta discutibile, tutto il resto del cast è di livello adeguato e la direzione del giovane Raphaël Pichon, pure al suo debutto all’Opéra alla testa del suo ensemble Pygmalion, è una delizia già dalla briosa ouverture, chiara e precisa, attentissima ai giusti tempi, direzione appassionata e ricca di vitalità, colori e contrasti, non ci si annoia nemmeno per un secondo in tutti i tre atti.
Gradevolissima è anche la messa in scena di Robert Carsen, solo con qualche incongruenza logica dovuta alla trasposizione ai giorni nostri della storia, creata nel 2023 proprio per l’Opéra Garnier, e già allora vittima di uno sciopero.
Sin dall’apertura del sipario è chiaro che ci si trova in Scozia, il colore dominante è il verde, i tessuti richiamano i motivi tartan dei kilt. Se l’opera, in italiano, è infatti ispirata a un episodio dell’Orlando furioso, come rivelano i nomi dei personaggi, è stata poi declinata in salsa scozzese utilizzando un adattamento anonimo del libretto di Antonio Salvi intitolato Ginevra Principessa di Scozia de1708. Il malvagio duca Polinesso vuole sposare Ginevra, figlia del re di Scozia, per desiderio di possederla ma soprattutto per conquistare il potere, per riuscire deve impedire il matrimonio tra Ariodante e Ginevra, che si amano sinceramente e appassionatamente, e mette in scena un falso tradimento, aiutato da Dalinda, dama di compagnia di Ginevra ed innamorata, e quindi succube, di Polinesso.


Molto applaudito il controtenore Christophe Dumaux che interpreta Polinesso, duca d’Albany, già presente nel cast del 2023. Ruolo scritto per contralto en travesti che funziona molto bene pure con un controtenore come lui, con buone agilità ma dalla voce potente, proprio da cattivo, anche in falsetto.
Ottima nel ruolo di Dalinda pure il soprano Sabine Devieilhe, voce forte e chiara, ben proiettata, virtuosa nei vocalizzi e molto espressiva.
Il basso Luca Tittoto è poi un elegante Re di Scozia e si fa notare il tenore Ru Charlesworth nella parte di Lurcanio, qui con i capelli rossi, fratello di Ariodante ed innamorato di Dalinda.
Completa il cast il tenore italiano Enrico Casari che pure già aveva vestito i panni dell’amico del re, Odoardo, nel 2023.
Un ruolo importante in quest’opera di Händel ha anche il balletto, qui con le coreografie di Nicolas Paul, un gradevole mix di danze scozzesi e movimenti contemporanei, e bravo il coro diretto da Alessandro Di Stefano che si fa notare già dall’intervento gioioso nel primo atto in “Si godete al vostro amor” e poi nell’happy end con “Sa trionfar ogn’or”, aria che celebra il trionfo della virtù con Polinesso che muore confessando i suoi intrighi, Dalinda perdonata e la felicità ritrovata di tutti gli altri personaggi.
Ma c’è ancora un’ulteriore, sorpresa finale, perché infine, quando tutto sembra finito, ci si ritrova in un museo invaso da allegri e rumorosi visitatori… Carsen nell’attualizzare l’opera inserisce tanti riferimenti alla vera famiglia reale britannica, compare anche in più momenti la famosa valigetta rossa che il governo britannico utilizza per inviare i documenti al sovrano, un nugolo di paparazzi è onnipresente, i personaggi sono spesso con il bicchiere in mano, ma nel moderno contesto è mantenuto il duello con la spada, anche se a Dalinda è data una pistola, ed il picnic appare poco regale ed elegante con i contenitori di plastica.
Le scene ed i costumi sono dello stesso Carsen in collaborazione con Luis F. Carvalho, tutto è incentrato su delle pareti mobili con grandi porte che creano ambienti di diverse dimensioni, e dalle porte aperte la natura fa capolino sotto forma di un cervo, oppure di una grande luna nella notte buia, una luna forse un po’ troppo grande.
Ma sono dettagli poco importanti, nell’insieme l’opera è ben raccontata e cantata, da non perdere, sino al 12 ottobre. Coproduzione con il Metropolitan di New-York




