Dopo anni di restauri riapre i battenti il Teatro Vaccaj di Tolentino


di Alberto Pellegrino

5 Ott 2018 - Approfondimenti teatro

Dopo una serie di complessi lavori di restauro, il 10 settembre 2018, festa di San Nicola, è stato riaperto a Tolentino il Teatro Nicola Vaccai che aveva subito gravissimi danni nel 2008 a causa di un incendio scoppiato nel corso dei lavori di rifacimento del tetto. Ritorna così a riaprire i battenti uno dei più prestigiosi teatri marchigiani, che occupa un posto di rilievo per la sua struttura architettonica e per la lunga e intensa tradizione di spettacoli.
Tolentino, come altri centri marchigiani, vanta fin dal Cinquecento un’intensa attività teatrale che si svolge fino al 1782 in un impianto teatrale collocato in una Sala del palazzo Comunale e fino al 1792 nella “Sala del Forno” adattata per l’allestimento di spettacoli. Nel Settecento le Marche attraversano un loro Rinascimento economico e culturale che porta alla creazione di numerose istituzioni pubbliche, fra cui molti teatri che sorgono in diverse città e cittadine
marchigiane. Dai teatri costruiti all’interno dei palazzi nobiliari o dei municipi si passa ai teatri a uso pubblico che sono costruiti grazie all’impegno dell’aristocrazia e della borghesia cittadina. Si verifica una mobilitazione della classe dirigente cittadina, i cui rappresentanti formano dei condomini teatrali finalizzati alla realizzazione di teatri che rimangono di proprietà privata, per la cui costruzione si fanno notevoli investimenti di capitali e sono coinvolti importanti architetti.
Sotto la spinta dei tempi nuovi e del clima culturale legato al “Secolo dei Lumi”, alla fine del Settecento nasce a Tolentino l’unico teatro pubblico della provincia di Macerata. Già nel 1763 alcuni esponenti dell’aristocrazia avevano proposto la costrizione di un teatro pubblico “a imitazione di tutte le città e anche piccole terre, per comune sollievo e divertimento del popolo”. Naturalmente non deve trarre in inganno quest’ultimo termine, perché il teatro non sarà mai una struttura “popolare”, perché esso rimane appannaggio delle élite cittadine che con questo edificio si autocelebrano e si riconoscono sotto il profilo sociale ed economico, mantenendo una netta divisione tra le classi sociali come dimostra la stessa strutturazione architettonica (palchi, platea, loggione, quest’ultimo riservato alle classi meno abbienti).
Dopo una lunga fase di discussioni e di proposte finalmente nella seduta del 22 settembre 1787 il Consiglio comunale, dove siedono i rappresentanti della nobiltà e della ricca borghesia cittadina, approva un “piano” per la costruzione e il finanziamento di un teatro pubblico, la cui proprietà rimarrà del Municipio. Tra i principali promotori dell’iniziativa c’è il conte Domenico Parisani che ha sposato la contessa Anna Carandini, sorella del cardinale Filippo Carandini, Prefetto della Sacra Congregazione. A seguito di questa parentela, l’illustre prelato concede il proprio patrocinio e una sostanziosa elargizione in denaro per la realizzazione del progetto.
In segno di riconoscenza il Consiglio Comunale, nella seduta del 12 gennaio 1788, decide di dare all’edificio il nome di Teatro dell’Aquila, il simbolo che appare nello stemma gentilizio del cardinale e che dovrà essere apposto sulla facciata del teatro stesso. Nella stessa seduta si delibera l’acquisto di un apposito terreno decentrato rispetto alla piazza principale per la costruzione dell’edificio ed è stanziata la somma di 5 mila scudi.
Nella stessa seduta sono fissate le caratteristiche che dovrà avere il futuro teatro: una platea, tre ordini palchi di diciassette palchi ognuno, meno il primo ordine che avrà un palco in meno per fare posto alla porta d’accesso alla platea, un quarto ordine adibito a loggione (“chiamato volgarmente Piccionara”).
Sono infine fissate alcune regole che definiscono la natura pubblica del teatro: l’area di costruzione e l’edificio sono di proprietà del Consiglio Comunale; i consiglieri hanno il privilegio di poter acquistare, prima degli altri cittadini, il diritto di godimento dei singoli palchi, diritto che può essere trasferito agli eredi in linea maschile e alle figlie nubili; in mancanza di eredi diretti, la disponibilità del palco ritorna al Municipio, che può rimettere in vendita il diritto di godimento; il palco centrale del secondo ordine è riservato al Governatore pontificio e al Magistrato della Città; ogni anno si dovrà procedere all’estrazione dei palchi per garantire una rotazione nella fruizione dei palchi centrali.
L’incarico per la progettazione, la direzione dei lavori e la decorazione è affidata dal Consiglio comunale all’artista tolentinate Giuseppe Lucatelli (Mogliano 1751-Tolentino 1828), un architetto e pittore, che si è formato a Roma presso l’Accademia di San Luca sotto la guida di due illustri architetti Tommaso Conca e Raffaello Mengs e che ha affinato le sue qualità artistiche in un lungo soggiorno a Parma. Entro il 1788 Lucatelli presenta il progetto di un teatro che, seguendo gli insegnamenti di Luigi Vanvitelli e Giuseppe Piermarini, si presenta come il primo edificio teatrale d’ispirazione neoclassica: la struttura presenta una spinta verso l’altro grazie all’emiciclo superiore e un grande equilibrio di volumi nella facciata dalle linee sobrie e armoniche, che si sviluppa in senso orizzontale con tre ingressi e una sola mensola modanata. L’interno ha una pianta a ferro di cavallo, un emiciclo caratterizzato da grandi paraste con capitelli corinzi e una volta a “ombrello”, la quale parte dalle lunette del loggione per raccogliersi verso il grande medaglione centrale. Lucatelli s’impegna a realizzare le pitture della volta, i pannelli dei singoli palchi e gli affreschi dell’atrio monumentale.
La costruzione del teatro è ultimata nel 1795 ma, a causa della campagna napoleonica d’Italia e dell’occupazione francese delle Marche, l’apertura del nuovo edificio è rimandata di anno in anno fino al 10 settembre 1797, dopo la firma del Trattato tra la Santa Sede e Napoleone Bonaparte in rappresentanza della Repubblica francese. Per la solenne inaugurazione vengono scelti due illustri rappresentati della Scuola musicale napoletana operanti nelle Marche: Nicola Zingarelli (1752-1837), maestro di cappella della Basilica di Loreto, del quale sono rappresentati gli oratori Il Figlio prodigo e Giuseppe in Egitto; l’altro autore è Giuseppe Giordani detto il “Giordaniello” (1743-1798), maestro di cappella della Cattedrale di Fermo, del quale non si conosce l’opera messa in scena. Nell’orchestra sono presenti gli stessi Zingarelli e Giordani, più Luigi Bittoni maestro di cappella della Cattedrale di Camerino. I direttori sono Giambattista Cenerini di Fermo e Filippo Marchetti di Camerino, compositore e musicista vissuto tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento. Tra gli interpreti compare per la prima volta il nome del giovane Giovanni Battista Velluti (1780-1861), nato a Montolmo (Corridonia), che diverrà il più grande “sopranista” della prima metà dell’Ottocento.
Nel 1881 l’amministrazione comunale decide di eseguire dei lavori di restauro e affida una nuova decorazione pittorica al fermano Luigi Fontana (1827-1908), un artista affermato che provvede a decorare con i suoi dipinti tutto l’interno del teatro compresa la volta. Fontana realizza anche il nuovo sipario, in cui sono raffigurati due illustri personaggi tolentinati: l’umanista Francesco Filelfo (1398-1428) e il condottiero e capitano di ventura Nicolò Maurizi (1350-1435). Nello stesso anno il Consiglio comunale decide di dare una nuova denominazione al teatro, che viene intitolato al compositore tolentinate Nicola Vaccai (1790-1848). Il Teatro viene riaperto nel 1882 con l’esecuzione delle opere Giulietta e Romeo (1825) del Vaccai e Salvator Rosa (1874) del compositore brasiliano Antonio Carlos Gomes.

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