Affascinante “Aida” all’Opéra Bastille di Parigi


di Alma Torretta

8 Ott 2025 - Commenti classica

A Bastille un’Aida mediorientale dalla parte dei vinti. Ottima la direzione di Michele Mariotti, buone le voci dei protagonisti, d’effetto le pagine corali.

(Foto di @BerndUnlig/OnP)

Un’Aida da vedere, perché offre una lettura diversa della storia con un allestimento dall’estetica molto curata e con soluzioni sceniche efficaci quanto belle. Un’Aida da ascoltare, soprattutto per la direzione del maestro Michele Mariotti che riesce ad esaltare tanto la grandiosità quanto i momenti intimistici della scrittura di Verdi, e in particolare per delle pagine corali molto ben riuscite, coro istruito dalla maestra Ching-Lien Wu.

La regista iraniana Shirin Neshat, che vive in esilio a New York, ha saputo ben infondere nell’intreccio del libretto la sua storia personale e i suoi valori, le sue battaglie e la sua estetica tradizionale e al tempo stesso moderna, in un’Aida dal gusto poco egiziana e più mediorientale, per i costumi soprattutto dei sacerdoti e per le donne velate. Non era così nell’allestimento presentato in anteprima al Festival di Salisburgo nel 2017, e nemmeno alla sua ripresa nel 2022, ma Shirin Neshat non ha mia smesso di riflettere su quanto già realizzato, dato che considera la messa in scena di un’opera un lavoro in continua evoluzione, e adesso ne ha elaborato una versione ulteriormente rinnovata che vuole mettere in evidenza il punto di vista de vinti. La regista si è fatta conoscere innanzitutto come artista visuale, attraverso fotografie e video sui temi della condizione femminile, dell’identità culturale e della religione, nonché del rapporto tra Oriente e Occidente, lavori per cui ha ricevuto, tra l’altro, il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia nel 1999 e il Leone d’Argento per la Migliore Regia alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2017. Ed ai video è ricorsa di nuovo adesso per raccontare la storia che non si vede, quella degli etiopi sconfitti e, dall’altra parte, per sottolineare l’ottusità e crudeltà del fanatismo religioso.

La scena è dominata da un grande blocco bianco, perfetto per proiettarvi sopra i video, che si apre e si divide, gira e si rivela vuoto nella parte posteriore, ideale quindi per diventare infine la tomba dei due amanti ma anche per creare due livelli, quello dell’azione e quello della riflessione interna dei personaggi, e forse utile per fare un po’ da cassa di risonanza alle voci nel grande palcoscenico di Bastille.

Un impianto scenico bello e funzionale, firmato Christian Schmidt con le luci della statunitense Felice Ross, che però perde un po’ del suo fascino quando compaiono della specie di lampadari anni Settanta e la spada di Radames colpita dalla luce rimanda un fascio luminoso in sala costringendo i malcapitati colpiti a chiudere gli occhi, è stato il nostro caso.

Nessuna delle voci protagoniste convince in pieno e il maestro Mariotti all’inizio deve, ad esempio, in “Celeste Aida” rallentare un po’ per permettere a Radames, il pur ottimo tenore Piotr Beczała, di articolare bene le parole della celebre aria con il risultato di perdere in fluidità.

Due cast interpretano i protagonisti principali e anche sul podio Mariotti dopo il 19 ottobre cederà la bacchetta al giovane maestro russo Dmitry Matvienko, che farà il suo debutto all’Opera di Parigi. Noi abbiamo ascoltato il primo cast, con Beczała come Radames che dopo l’inizio cauto, sfodera tecnica e soprattutto la voce dell’eroe, con potenza e squillo, ma anche la necessaria dolcezza e ricchezza di sfumature dell’uomo innamorato che accetta di morire con onore; nel secondo cast sarà sostituto da Gregory Kunde.

Il soprano spagnolo Saoia Hernández è un’Aida di buon livello ma non particolarmente entusiasmante; sarà sostituita dal soprano polacco-americano Ewa Plonka.

Nel ruolo di Amneris si fa invece notare ed ammirare per presenza scenica il mezzosoprano Ève-Maud Hubeaux, bella voce, bei suoni, ma parole poco articolate e comprensibili; sarà sostituita da Judit Kutasi dal 19 ottobre.

Si fa notare anche il basso ungherse-rumeno Alexander Köpeczi nella parte del grande sacerdote Ramfis, autorevole ed il suo italiano è invece ben scolpito nel canto.

Amonasro, re d’Etiopia e padre di Aida, è interpretato in modo più che sufficiente dal baritono Roman Burdenko fino alla fine di ottobre, poi dal baritono di origini mongole Enkhbat Amartüvshin, già famoso in Italia, che farà così il suo atteso debutto all’Opéra de Paris.

Completano il cast il giovane basso Krzysztof Bączyk nella parte del Re e si fanno notare il tenore neozelandese Manase Latu come il Messaggero e poi il soprano Margarita Polonskaya come la Sacerdotessa. 

La nuova drammaturgia è un po’ appesantita dai messaggi politici e sociali sovrascritti, ma sono sempre solo appena suggeriti, come l’immagine del mare con una piccola barchetta, forse di esuli, che apre e chiude l’opera; gli etiopi denudati per fargli perdere la dignità od ancora l’esposizione dei corpi nudi degli uccisi per convincere Aida a cedere all’amor di patria.

La regista ha ritenuto anche necessario mostrare un sacrificio propiziatorio, tagliando la testa ad un animale, finto evidentemente.

Alcuni video sono carichi di significato, altri sembrano solo dei riempitivi. Alcune scelte registiche, come la messa in evidenza in primissimo piano delle trombe egizie sul palcoscenico disturba un po’ l’equilibrio della celeberrima Marcia trionfale che, oltretutto all’inizio sembra più un rito segreto notturno che una celebrazione pubblica della vittoria; lascia perplessi pure il poco credibile confronto tra soldati e ancelle nelle stanze di Amneris, che appare pure come una forzatura.

Alcuni messaggi sono veicolati da costumi, belli, di Tatyana van Walsum, dalle fogge con qualche richiamo iraniano, soprattutto i sacerdoti con le barbe lunghe al momento del giudizio, mentre le donne velate nere richiamano il medio-oriente ma anche le tragedie greche, e ci sono anche degli incappucciati che fanno venire alla mente l’Inquisizione oppure il Ku Klux Klan.

Tanto bianco, nero e rosso, verde per i soldati, nero corto il modesto vestito di Aida, mentre quelli della principessa Amneris sono vari e di colori intensi, lunghi con strascichi che creano qualche difficoltà di movimento, ben marcando così il suo differente status rispetto alla rivale schiava.

Nel complesso uno spettacolo affascinante, ultima replica il 4 novembre

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