Successo di “Roméo et Juliette” di Gounod alla Scala di Milano


di Chiara Gamurrini

26 Feb 2020 - Commenti classica, Musica classica

Al Teatro alla Scala di Milano è andata in scena il “drame lyrique” di Gounod Roméo et Juliette. Ovazione del pubblico per uno spettacolo elegante, raffinato e con un cast musicale di alto livello.

Milano 16 febbraio 2020 – Il sipario è aperto e sul palco del Teatro alla Scala si ergono palazzi con pilastri massicci e loggiati imponenti: è la piazza della città di Verona, in cui prende le mosse l’opera Roméo et Juliette di Gounod. La scenografia piuttosto tradizionale di Michael Yeargan permane durante tutto lo spettacolo, diventando sfondo sia di episodi di vita mondana che di momenti più intimi, durante i quali risulta evidente il contrasto tra le linee dure delle architetture e la tenerezza del soggetto, quasi a ricordare ai protagonisti il gravare delle imposizioni familiari delle rispettive case. Il regista Bartlett Sher, il cui lavoro è stato ripreso da Dan Rigazzi, decide di designare un piano rialzato, posto quasi a centro palco, a fulcro della scena. Esso diventa pertanto un elemento polivalente in accordo con l’atmosfera conflittuale permeante l’intera opera; dapprima infatti ospita le festose e coinvolgenti danze dei Capuleti, poi è sede del duello tra esponenti delle due famiglie (inscenato alla perfezione grazie alle sapienti movenze illustrate dal maestro d’armi H. B. Barry) ed infine si tramuta grazie ad un telo bianco nella camera di Juliette. La contrapposizione tra interno ed esterno, metafora dell’antitesi tra le dinamiche collettive e quelle private, viene sottolineata anche attraverso la scelta delle tinte dei costumi d’epoca, selezionati attentamente da Catherine Zuber: così il bianco è predominante negli abiti e negli oggetti di scena adoperati per i due giovani amanti e i colori accesi, come il verde e il rosso, per le scene corali. Le luci di Jennifer Tipton, riprese da Andrea Giretti, scandiscono il trascorrere del tempo, lasciando intendere l’alternarsi di notte e dì. Particolare è l’effetto generato dal cono di luce proiettato sui due protagonisti durante il matrimonio segreto nella cella di frère Laurent, forse a simboleggiare la purezza del sentimento giovanile o la presenza di un’entità divina a suggellare il patto d’amore tra i due.

La componente musicale si snoda in una costante mutazione, che si sposa con l’ambivalenza conflittuale delle situazioni che si susseguono, aspetto proprio del drame lyrique, genere sotto cui viene annoverata l’opera. Secondo questa interpretazione, dunque, le scene collettive dello spazio “esterno” hanno poche modulazioni e linee melodiche più semplici, mentre l’atmosfera eterea, caratterizzante la ricerca emotiva e individuale dei giovani protagonisti, è resa con una danza di archi ed arpe che eseguono più complessi cromatismi e accordi dissonanti di settima e nona. La padronanza del maestro Lorenzo Viotti è sicuramente l’elemento chiave dell’abilità esecutiva dell’orchestra, che riesce a mettere in evidenza il divario tra le melodie ritmate e vigorose delle parti corali e quelle più morbide ed espressive dei momenti di introspezione.

Notevoli sono i pregi vocali, già rinomati presso il pubblico mondiale, del tenore Vittorio Grigolo, pregi che gli consentono, unitamente alla sua teatralità fatta di movenze esasperate, di impersonare un credibilissimo Roméo. La voce robusta e vigorosa lascia trasparire il trasporto dell’interprete verso il ruolo assegnatogli, senza che egli tradisca la tecnica del canto: il tenore si destreggia sia nella bassa che nell’alta tessitura con precisione e volume, che smorza in modo delicato per le parti a mezza voce. Virtuosismi fluidi e timbrica limpida e brillante nella zona acuta sono invece distintivi del soprano Diana Damrau (Juliette). La sua abilità recitativa rende interessante il doppio utilizzo del telo bianco, che da copriletto diviene velo nuziale in cui ella si avvolge con movimenti languidi quasi trascinandosi, come per proteggersi dal destino infausto. Degna di menzione è l’interpretazione di Marina Viotti, mezzosoprano dal canto tornito, che con precisione di tecnica e consistenza del corpo vocale ricopre il ruolo en travesti di Stéphano. La voce di basso di Nicolas Testè, nei panni di frère Laurent, è pastosa e omogenea, così come quella di Jean-Vincent Blot (le Duc de Vérone) che tuttavia rimane meno efficace. Il Mercutio del baritono Mattia Olivieri è energico sia nei gesti che nel cantato. Vocalmente preparato è il tenore russo Ruzil Gatin nella parte di uno sfrontato Tybalt e altresì curato è il Capulet del basso Frédéric Caton. Bravi anche Paolo Nevi (Benvolio), Edwin Fardini (Pȃris), Paul Grant (Grégorio).

Il coro, istruito sapientemente dal maestro Bruno Casoni, si presenta molto versatile, dovendo esso procedere tra le armonie più meste, come quella del prologo e del canto funebre che accompagna la morte ancora solo apparente di Juliette, e quelle più distese degli ambienti festosi. La scena finale, assente dal dramma shakespeariano originale da cui è tratto, ha una fortissima presa sul pubblico, grazie al duetto struggente dei due amanti, eseguito in modo eccellente da Grigolo e Damrau, che conquistano perciò l’ovazione di tutti i presenti.

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