Luis Sepúlveda un grande narratore e poeta


di Alberto Pellegrino

21 Apr 2020 - Letteratura, Libri

In occasione della scomparsa del grande scrittore cileno Luis Sepúlveda, pubblichiamo il saggio di Alberto Pellegrino che ne analizza le opere, sottolineandone l’impegno sociale e politico.

I giornali della destra italiana più reazionaria non lo hanno mai stimato e in fondo è giusto così. Perché si deve fingere di apprezzare il messaggio contenuto nelle opere di Luis Sepúlveda, quando non si condivide e forse nemmeno si comprende in tutta la sua profondità artistica, politica e umana l’opera di uno scrittore che, con grande coraggio e coerenza, ha scelto la letteratura per ”dar voce a chi non ha voce” e che rimane uno dei più grandi scrittori del secondo Novecento? I principali pregi di Luis Sepúlveda (1949-2020) sono stati quelli di averci sempre messo di fronte alle grandezze e miserie della nostra storia e di aver saputo trasfondere nei suoi scritti le esperienze, le passioni umane e politiche, il culto dell’amore, la difesa della natura e il gusto per l’avventura.

Fin da giovane Salgado ha preso confidenza e ha amato la grande letteratura latinoamericana rappresentata soprattutto da Gabriel Garzia Marquez, Pablo Neruda, Antonio Machado e Gabriela Mistral, la prima donna latinoamericana a vincere il Nobel per la letteratura nel 1945. Durante la presidenza di Salvador Allende s’iscrive al Partito Socialista ed entra a far parte della guardia personale del Presidente cileno. Combattente per la libertà, è condannato al carcere dal regime fascista di Pinochet e viene liberato per l’intervento di Amnesty International, ma è di nuovo arrestato e condannato all’esilio. Nel 1979, dopo aver sostato in vari Paesi latinoamericani, si unisce in Nicaragua alle Brigate Internazionali Simon Bolivar e, finita la rivoluzione, si stabilisce in Europa, prima ad Amburgo, poi in Francia, infine in Spagna. Nel 1986 gli viene tolta la cittadinanza cilena riducendolo alla condizione di apolide, una cittadinanza che gli sarà restituita solo nel 2017. Legato all’ideologia della sinistra, antifascista, nemico del neoliberismo, ecologista convinto, Sepulveda dal 1982 al 1987 fa parte dell’equipaggio di una nave di Greenpeace e non tralascia mai di fondere nei suoi romanzi e nei suoi racconti le proprie esperienze di vita, il suo difficile passato cileno, il lungo esilio europeo, il suo impegno politico, il suo amore per l’umanità e soprattutto per gli ultimi della terra, mescolando i temi dell’amore e dell’avventura, gli intrecci polizieschi e gli intrighi politici in un insieme che rende particolarmente affascinanti i suoi racconti e le sue poesie. La passione per i viaggi lo porta anche a scrivere dei veri capolavori del giornalismo letterario come Il mondo alla fine del mondo, La frontiera scomparsa, Patagonia Express.

Luis Sepúlveda è anche uno straordinario autore di favole di notevole spessore poetico, dove le vicende degli animali diventano parabole destinate a insegnare agli umani valori profondi come la solidarietà e la capacità di convivenza tra esseri totalmente diversi. La prima di queste storie ad avere una risonanza mondiale e a diventare anche uno splendido film animato di Enzo D’Alò è la Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare (1997), seguita da Storia di un topo e del gatto che diventò suo amico, Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà, Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza e l’ultima favola Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa (2018). Sono racconti utili per i bambini e per gli adulti perché invitano a riflettere sulla nostra umanità come ha scritto lo stesso Sepúlveda: “Delle mie favole sono sempre protagonisti animali e questo, come accadeva in quelle antiche, ti permette di vedere da lontano il comportamento umano per comprenderlo meglio”.

Fra le tante opere pubblicate, ci piace ricordare quelle che abbiamo amato di più e che ci hanno restituito il gusto e il sapore della lettura, tenendoci avvinti dalla prima all’ultima pagina. Cominciamo dal romanzo che gli ha dato una fama internazionale, Il vecchio che leggeva romanzi d’amore (1989) arrivato in Italia nel 1993 e diventato subito un libro di culto. È la storia di Antonio José Bolivar Proano che si è ritirato, dopo la morte della moglie, nella foresta amazzonica equadoriana per stare a contatto coll’antica sapienza degli Indios Shuar, per riscoprire i ritmi, i segreti e il fascino della natura, il rispetto delle creature che abitano quel magico mondo che i “gringos” non potranno mai capire e che minacciano in continuazione di sfruttare e distruggere.

Accanito lettore di romanzi, il Vecchio vede interrotta la quiete interiore e il silenzio della foresta da un avvenimento che costringerà l’uomo a impugnare di nuovo un fucile. Per colpa di alcuni cacciatori bianchi, che hanno sterminato la sua nidiata di cuccioli, un tigrillo si aggira per la foresta accecato dal dolore per vendicarsi su tutti gli esseri umani che incontra. Tocca ad Antonio scovare e uccidere il felino in una serie di avvincenti sequenze, ingaggiando un’epica lotta che ricorda altre grandi opere letterarie che presentano però delle profonde differenze: in Moby Dick la balena bianca è un mostro in lotta con la follia e il fanatismo religioso del Capitano Achab; il protagonista de Il vecchio e il mare di Hemingway lotta con un gigantesco pesce per riaffermare il proprio io di uomo ormai al tramonto; il felino di Sepulveda non è un mostro feroce e assetato di sangue, ma diventa il simbolo della cattiva coscienza collettiva di fronte alle ferite inferte dall’uomo a una natura ancora incontaminata. Il vecchio Antonio accarezza quell’animale che ha ucciso, perché “era superbo, bellissimo, un capolavoro di vigore impossibile da riprodurre anche solo con il pensiero” e piange “di vergogna, sentendosi indegno, umiliato, in nessun caso vincitore di quella battaglia”. Affida il cadavere alle acque del fiume, affinché possa ritornare verso le terre non ancora contaminate dall’uomo bianco e getta in acqua la doppietta, una “bestia di metallo odiata da tutte le creature”. Egli stesso si avvia verso la sua capanna “El Idilio” e “verso i suoi romanzi, che parlavano d’amore con parole così belle che a volte gli facevano dimenticare la barbarie umana”.

Un nome da torero è un’opera che ha il ritmo e il fascino del grande romanzo d’avventura e inizia con la requisizione da parte della Gestapo di una collezione di antiche e preziose monete d’oro requisita dalla Gestapo durante la seconda guerra mondiale. Poi il tesoro viene rubato da due soldati tedeschi che sognano di trovare la libertà lontano dal loro paese. Cinquant’anni dopo, quando il muro di Berlino è crollato, una compagnia di assicurazioni affida l’incarico di recuperare il tesoro a un ex-guerrigliero cileno di nome Belmonte, che accetta e si reca in Sudamerica anche per rivedere la donna che ama. Nello stesso tempo un ex ufficiale dei servizi segreti della Germania Est è ingaggiato per recuperare la preziosa collezione. La ricerca si trasforma in una micidiale gara che si svolge nella Terra del Fuoco con un fitto intrecciarsi di colpi di scena che animano una vicenda in cui l’autore mescola i temi politici della nostra storia recente e alcune amare riflessioni sulla caduta degli ideali.

La passione dello scrittore cileno per il noir lo porta a scrivere due romanzi brevi che sono due piccoli capolavori ricchi di humor e di passione civile, di fedeltà ai suoi ideali e di umana partecipazione. Il primo s’intitola Jacaré e si svolge nel mondo della moda in una Milano nebbiosa, partendo dai funerali di Vittorio Bruni morto in circostanze misteriose e proprietario di una ditta di pelletterie che produce oggetti in pelle di un caimano in via di estinzione. A dipanare il mistero sono chiamati il commissario Arpaia e un detective delle Assicurazioni Elvetiche che devono muoversi nel turbinoso mondo dell’industria milanese e devono confrontarsi con Carlo Ciccarelli, ex socio del defunto, che da una sedia a rotelle domina l’azienda come un sovrano sul trono. Vi è poi sua figlia, l’affascinante Ornella, che conduce una vita alternativa e che si ribella al mondo a cui appartiene. Il secondo racconto s’intitola Hot line e ha come protagonista l’ispettore di polizia indio George Washington Caucamàn, trasferito da una città di provincia a Santiago, perché ha impallinato il fondoschiena del figlio di un generale. Nella capitale si trova coinvolto in un’indagine che riguarda un normale giro di reati sessuali ma, ascoltando i “postriboli virtuali”, scopre una congiura ordita dai militari per conquistare di nuovo il potere. A guidare il complotto è il generale Contreras, grande ammiratore di Annibale, Cesare, Hitler e Franco, il quale sarà arrestato dal poliziotto “indio” nonostante le sue manie di grandezza e le sue aspirazioni dittatoriali.

Diario di un killer sentimentale è un piccolo capolavoro di romanzo noir, avvincente e ironico che porta il lettore a Madrid, Istanbul, Francoforte e Parigi per seguire questo professionista sentimentale che è stato abbandonato dalla sua ragazza, per cui l’ha sostituita da una giovanissima mulatta caraibica dal sangue bollente.  L’uomo non è convinto della “commissione” che gli hanno assegnato, perché non capisce chi è il messicano che deve uccidere, quali sono le sue colpe, perché dei personaggi apparentemente per bene sono coinvolti nel traffico della droga e soprattutto per quale ragione due agenti della D.E.A. lo stanno sorvegliando. Come sempre Sepúlveda ci prende in contropiede con uno dei suoi finali a sorpresa.

Da non sottovalutare nemmeno il Sepúlveda autore di narrazioni più brevi a cominciare da Incontri d’amore in un paese in guerra, un libro che comprende 24 racconti, dove si ritrovano gran parte dei temi cari al narratore come l’avventura e il viaggio, la politica e la guerra, l’ironia e l’utopia, il gusto per il mistero e, in questo caso, l’amore che assume una particolare importanza. Siamo di fronte a un straordinario mondo di ribelli e dittatori, di esuli e fieri malavitosi, di vecchie coppie ormai senza più desideri e speranze, di commoventi prostitute e di amanti che cercano di ritrovarsi. Esemplari sono alcuni racconti: l’appuntamento d’amore di un sandinista, che combatte contro la dittatura di Somoza in Nicaragua, con una donna che è la moglie della spia condannata a morte e che dovrà essere fucilata all’alba; la notte di terrore di un ricercato politico che aspetta l’arrivo degli “squadroni della morte”; un campione di box che organizza finti incontri per fuggire dal Cile e unirsi ai guerriglieri boliviani; i dodici confinati cileni che in Argentina compiono l’impresa di rimettere in moto una vecchia locomotiva a vapore che diventa un simbolo di libertà; il mancato incontro alla stazione di Amburgo tra un esule e la donna che ha amato e conosciuto 15 anni prima sulle barricate del maggio francese.

Le rose di Atacama, titolo italiano della raccolta di racconti Historias marginales, è considerato uno dei capolavori di Sepúlveda, perché riporta alla luce le vite di personaggi “minori” che hanno bisogno di giustizia come quel “Federico Nessuno”, una vittima sopravvissuta allo sterminio che è stato accecato ed evirato, ma possiede una memoria prodigiosa che gli ha permesso di registrare tutte le voci dei suoi aguzzini nazisti. Sono queste le storie di uomini e donne perseguitati, torturati, uccisi dalle dittature nel mondo, storie che l’autore ha raccolto nei suoi continui pellegrinaggi di esule. Si tratta di racconti che hanno per protagonisti dei poveri eroi quotidiani ma che sono fuori dagli schemi, scritti con una grande passione politica senza mai cadere nelle retorica o nella propaganda politica. Sepulveda, attraverso una scrittura controllatissima, riesce a conferire umanità e dignità a tragedie e vicende a volte terribili, a volte ironiche con lo scopo di restituire a questi perdenti un posto nella Storia nonostante il ruolo di queste persone resterà sempre marginale. “Dalla gente del sud del mondo – egli dice – ho imparato che la tenerezza bisogna proteggerla con la durezza e che il dolore non può paralizzarci”.

Una delle ultime opere narrative di Sepúlveda è La lampada di Aladino e altri racconti per vincere l’oblio (2008). Si tratta di dodici storie che, pur nella varietà dei toni e delle atmosfere, riflettono ancora una volta il mondo letterario dello scrittore, i valori in cui ha sempre creduto: l’amicizia, il rispetto per la dignità degli individui e per la loro diversità, l’amore per la natura. Ancora una volta ricorrono gli ingredienti di sempre: il viaggio e l’impegno politico, l’avventura e la lotta per la libertà, l’amore e gli ideali che rendono l’esistenza degna di essere vissuta. Lungo questo percorso narrativo incontriamo la violenza della dittatura cilena e il dolore dell’esilio, le lotte del movimento studentesco, la scoperta della bellezza della Patagonia, la presenza di un angelo vendicatore che si batte per difendere i poveri della terra. Infine, assistiamo a un grande ritorno: il Vecchio che legge romanzi d’amore si rimette in marcia, insieme al suo amico dentista, verso il villaggio di El Idilio, abbandonato dai suoi abitanti costretti a fuggire dinanzi all’ennesima guerra per il petrolio.

Scomparso troppo presto, Sepúlveda ci ha lasciato un patrimonio di opere che saranno utili all’umanità e lo salutiamo con rimpianto e con affetto anche per coloro che non lo hanno apprezzato in vita e in morte. A questi e a tutti coloro che lo hanno amato e lo ameranno, dedichiamo questa poesia che ha scritto per sua moglie e che ha amato moltissimo.

La più bella storia d’amore

L’ultimo suono del tuo addio,
mi disse che non sapevo nulla
e che era giunto
il tempo necessario
di imparare i perché della materia.

Così, tra pietra e pietra
seppi che sommare è unire
e che sottrarre ci lascia
soli e vuoti.
Che i colori riflettono

l’ingenua volontà dell’occhio.

Che i solfeggi e i sol
implorano la fame dell’udito.
Che le strade e la polvere
sono la ragione dei passi.

Che la strada più breve
fra due punti
è il cerchio che li unisce
in un abbraccio sorpreso.

Che due più due
può essere un brano di Vivaldi.
Che i geni amabili
abitano le bottiglie del buon vino.

Con tutto questo già appreso
tornai a disfare l’eco del tuo addio
e al suo posto palpitante a scrivere
La Più Bella Storia d’Amore
ma, come dice l’adagio
non si finisce mai
di imparare e di dubitare.

E così, ancora una volta
tanto facilmente come nasce una rosa
o si morde la coda una stella fugace,
seppi che la mia opera era stata scritta
perché La Più Bella Storia d’Amore
è possibile solo
nella serena e inquietante
calligrafia dei tuoi occhi.