L’improvvisazione secondo Paolo Rossi


di Elena Bartolucci

25 Dic 2016 - Commenti teatro

paolo-rossi_improvvisatore_musiculturaonlineSabato 10 dicembre 2016, presso il teatro di P.S. Giorgio, ha fatto il suo trionfale ingresso il piccolo/grande comico milanese, Paolo Rossi, accompagnato dalla chitarra del M° Emanuele Dell’Aquila che ha saputo dare più spessore alla serata in diversi momenti musicali.
La volontà palesata dall’attore sin dall’inizio era quella di creare più una sorta di happening recitativo diviso in vari capitoli (con richiesta di bis già compresa nel programma) piuttosto che un vero e proprio pezzo di teatro… e così è stato.
“L’improvvisatore” è una commistione di pezzi già noti e una serie di citazioni o aneddoti della vita del comico legati a dei grandi maestri ovvero artisti con cui ha collaborato o che hanno segnato la sua carriera.
Il primo tributo ha interessato il grande cantautore/pianista/attore Enzo Jannacci al quale deve molto come anche la sua rovina a livello politico nel mondo dello spettacolo durante un divertente ma increscioso incidente di una puntata del Maurizio Costanzo Show all’epoca della scesa in campo del noto Cavaliere.
Il più grande insegnamento di Jannacci è stato quello di fargli capire come trasformare un grande fiasco in una storia di successo. Rossi gli ha poi dedicato un piccolo momento musicale, scimmiottandone quasi la timbrica inconfondibile.
Un altro grande omaggio è stato poi reso a Gianmaria Testa, grande compositore, il quale ha scritto diverse canzoni per i suoi ultimi spettacoli, di cui ha eseguito due brani. Il primo, “La canzone di Arlecchino”: un testo comico ma molto profondo e poetico sul significato di dover portare una maschera. Un concetto che non vale solo per gli attori ma per chiunque nella vita di tutti i giorni.
Il secondo, invece, “Cristo era un clandestino”, che riprende la melodia di una ballata spagnola.
Alquanto prevedibile, ma doveroso l’ultimo tributo della serata che è stato dedicato al grandissimo Dario Fo, suo insegnante e mentore scomparso recentemente, dal quale il comico ha ammesso di aver imparato una cosa fondamentale: “in teatro chi ruba è un genio, chi copia è un coglione!”.
Rossi, infatti, ha ammesso senza pudore di aver copiato dal grande premio Nobel e ha anche cercato di apprendere la sua famigerata tecnica della metafora con cui ha presentato il noto ma pur sempre esilarante pezzo sul significato dell’economia associato all’immagine delle vacche.
Visto il profluvio di applausi del pubblico presente in platea (e dei pochi presenti sui palchetti), Rossi, sempre accompagnato dalla chitarra del M° Dell’Aquila, ha concesso il bis come promesso all’inizio, dando vita alla divertentissima analisi semiologica del famoso brano “I giardini di marzo”, scritto dal duo Mogol/Battisti.
Uno spettacolo breve (forse l’unica vera pecca) e coinciso ma dai tempi comici perfetti e studiati nel minimo dettaglio come anche l’intreccio di ogni pezzo, intessuto come sa fare solo un grande mattatore del palcoscenico come Paolo Rossi.

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