L’attualità di “Tempi moderni” di Chaplin


di Alberto Pellegrino

1 Mag 2020 - Approfondimenti cinema, Commenti cinema

Un’analisi del film Tempi moderni di Charlie Chaplin, tornato sugli schermi recentemente nella versione restaurata del 2014. Un capolavoro ancora attuale, nel bel saggio di Alberto Pellegrino.

In questo periodo è ritornato sugli schermi televisivi il film Tempi Moderni di Charlie Chaplin nella magistrale edizione restaurata nel 2014 dalla Fondazione Cineteca di Bologna e dotata della colonna sonora originale. Quest’opera non solo ci ripropone un capolavoro assoluto della cinematografia mondiale, ma ci fa ricordare che il film continua a trasmettere un messaggio umano, politico e sociale di assoluta attualità soprattutto in questo momento storico, in cui la pandemia sta mettendo in crisi l’intero sistema fondato sulla globalizzazione.

La condizione socio-economica degli Stati Uniti negli anni Trenta

Quando Charlie Chaplin realizza Tempi Moderni (1933-1935), è al culmine della popolarità per aver creato capolavori come Il Monello, La febbre dell’oro, Il circo e Luci della città. È diventato un uomo ricco, ma non ha mai dimenticato le sue origini inglesi e la prima fase della sua vita segnata da innumerevoli sofferenze e da un’estrema povertà. Comincia a scrivere la sceneggiatura, perché è stato profondamente colpito dai patimenti delle classi lavoratrici tormentate dalla miseria e della disoccupazione a causa della Depressione.

Nonostante il programma di riforme (New Deal) varato dal presidente democratico Franklin Delano Roosevelt, continuano migliaia di scioperi che coinvolgono qualche milione di lavoratori che spesso devono subire le violenze delle forze dell’ordine. Chaplin, che in più occasioni ha apertamente dichiarato di essere a favore della classe operaia e di tutti gli emarginati, è considerato dalla destra reazionaria americana un pericoloso “progressista di estrema sinistra”, colpevole di mettere in luce le contraddizioni della società statunitense e di denunciare la condizione dei poveri e dei disoccupati, ai quali egli vuole sia riconosciuto il diritto di “avere un tetto sulla testa, lavorare liberamente e formarsi una famiglia”. Questa ostilità si manifesterà nel 1949, quando Chaplin è accusato di “filocomunismo” e si concretizzerà nel 1952, in pieno Maccartismo, con la sua vergognosa espulsione dagli Stati Uniti “per i gravi motivi di sfregio della moralità pubblica e per le critiche trasparenti dai suoi film al sistema democratico del Paese che pure accogliendolo gli aveva dato celebrità e ricchezza”.

Quando nel 1936 Tempi moderni arriva nella sale cinematografiche, il film riflette il clima politico del momento e si schiera a difesa della dignità dell’uomo contro il dominio della macchina e l’asservimento dell’individuo ai dogmi della produttività e del profitto.  Il maggiore bersaglio della sua satira è l’alienazione provocata dalla catena di montaggio che Henry Ford ha introdotto nel settore automobilistico insieme al “management scientifico” ideato da Frederick W. Taylor per calcolare tempi e metodi di lavorazione per ridurre i “tempi morti” e incrementare la produttività con la ripetizione di gesti semplici e automatici che “anche un bambino di tre anni avrebbe saputo compiere” (Henry Ford).

La trama del film

Il film si apre con una breve sequenza di valore metaforico, dove si vede avanzare un gregge di pecore in mezzo alle quali spicca una pecora nera. Charlot fa l’operaio e deve stringere bulloni in una catena di montaggio con gesti ripetitivi e secondo ritmi disumani che finiscono per minare la sua salute mentale. È talmente ossessionato da questo lavoro da perdere il controllo e mettere mano su leve e pulsanti all’interno della sala di comando del suo reparto, provocando l’arresto dell’intera catena produttiva. Viene pertanto forzatamente affidato a una clinica psichiatrica per curare il suo esaurimento nervoso. Dimesso dall’ospedale, raccoglie una bandiera rossa di segnalazione caduta da un camion e la agita per richiamare l’attenzione dell’autista, ma alle sue spalle arriva un corteo di disoccupati e, quando la polizia disperde il corteo, l’ignaro Charlot è scambiato per il capo dei dimostranti ed è arrestato. Rinchiuso in un penitenziario, grazie all’effetto di una sostanza stupefacente ingerita accidentalmente, sventa un tentativo di rivolta di alcuni galeotti, guadagnandosi la grazia con tanto di lettera di presentazione che attesta le sue qualità di onesto lavoratore.

La recessione che attanaglia il paese diffonde la povertà e stimola il ricorso a espedienti non sempre legali pur di combattere la fame. Nel porto una ragazza ruba delle banane per sfamare le due sorelle più piccole e il padre disoccupato, che sarà ucciso da un proiettile esploso dalla polizia durante una manifestazione. Le sue figlie, rimaste orfane, sono affidate a un istituto per minori, ma la figlia maggiore Monella riesce a fuggire.

Con la sua lettera di presentazione, Charlot è assunto in un cantiere navale, dove è in fase di avanzata costruzione un’imbarcazione che non sarà mai ultimata, perché Charlot la spinge in acqua prima del tempo, rimuovendo il cuneo di ancoraggio che la trattiene sulla terra ferma. L’omino ritorna a girovagare per la città e s’imbatte in Monella, minacciata di essere arrestata per il furto di un filone di pane. Charlot tenta di addossarsi la colpa per salvare la ragazza e farsi di nuovo arrestare per risolvere il problema del vitto ma non è creduto, allora entra in un ristorante e consuma un abbondante pasto, quindi dichiara di non avere denaro per pagare il conto, per cui è arrestato. Sul furgone della polizia sale anche Monella accusata di furto ma, approfittando del ribaltamento del mezzo, i due si danno alla fuga in cerca di libertà. L’infortunio alla guardia notturna di un grande magazzino offre a Charlot la possibilità di essere assunto grazie alla lettera di presentazione. Dopo aver preso servizio, fa entrare Monella e i due vanno alla scoperta di quel mondo misterioso: la prima tappa è nel reparto di pasticceria poi nel reparto giochi, dove Chaplin dà una dimostrazione della sua abilità di pattinatore; infine i due arrivano nel reparto d’arredamento e la ragazza può finalmente dormire in un fantastico e morbido letto. Nel frattempo tre ladri si sono introdotti nel magazzino e con la minaccia delle armi immobilizzano Charlot, ma uno di loro lo riconosce perché è un ex compagno di fabbrica costretto a rubare a causa della povertà. I tre festeggiano la nuova amicizia con solenni bevute e la mattina una cliente trova Charlot addormentato sotto un cumulo di vestiti, per cui viene licenziato e condannato a scontare dieci giorni in galera.

Al suo rilascio, Monella lo aspetta e lo invita nella sua nuova abitazione che si rivela una catapecchia fatiscente, anche se risulta utile come riparo per la notte e per consumare i pasti. L’indomani Charlot legge sul giornale la notizia della riapertura delle fabbriche e riesce a farsi assumere come aiutante meccanico. A causa della sua sbadataggine e inesperienza, spinge il suo capo tra gli ingranaggi di una macchina per cui deve alimentarlo durante la pausa pranzo, ma uno sciopero interrompe l’operazione e, durante i tumulti fuori dalla fabbrica, Charlot è di nuovo arrestato. Al rilascio dal carcere, c’è ancora ad aspettarlo una Monella ben vestita e raggiante di felicità, perché ha trovato un impiego come ballerina in un ristorante, nel quale riesce a far assumere anche il suo compagno. L’impiego come cameriere prevede il doversi esibirsi da cantante e Charlot scrive il testo della canzone sui polsini per poterlo ricordare, ma l’espediente non funziona, poiché al primo passo di danza il polsino si sfila e lui è costretto ad improvvisare le parole della canzone. Grazie al successo riscosso, ottiene l’assunzione definitiva, ma due funzionari dell’ufficio di assistenza ai minori vogliono arrestare Monella, costringendo i due a darsi alla fuga. Sul margine di una strada deserta la ragazza piange disperata, ma Charlot la invita a sorridere, le fa coraggio e le infonde la fiducia necessaria per incamminarsi mano nella mano sulla strada del futuro.

L’analisi del film

Charlie Chaplin, oltre a scrivere il soggetto e la sceneggiatura, cura la regia e la composizione della suggestiva colonna musicale che contiene due piccoli capolavori come Smile e Je cherche après Titine (Io cerco la Titina). Agli inizi egli pensa di fare un film sonoro, ma poi decide di realizzare un’opera coraggiosamente “retrò”, riducendo il parlato a pochi rumori di fondo e alla canzone interpretata dallo stesso Chaplin, che per la prima volta fa sentire la sua voce e s’inventa un grammelot di parole francesi, spagnole e italiane. Il protagonista del film è il solito omino debole e vilipeso, sconfitto e deriso, perseguitato dalle autorità e da uomini arroganti, anche se alla fine con il suo candore riesce a difendere la propria dignità. Questa volta però Chaplin ha la capacità d’inserire il personaggio in un contesto diverso e originale, trasformando l’ingiustizia in ricerca di giustizia, la tragedia in forza comica, la farsa in dramma, finendo per sconfiggere il suo pessimismo con la fede nell’uomo e con la speranza in un futuro migliore. Chaplin sfida le autorità e l’opinione pubblica, perché il tema della fabbrica e dello sciopero è considerato un tabù, violato prima di lui solo dal russo Sergej Eisenstein con Sciopero (1924) e dal tedesco Fritz Lang con Metropolis (1926).

Chaplin affronta la questione sociale nel contesto socio-economico della Depressione e, pur mantenendo la formula cinematografica sviluppata nelle sue opere precedenti, introduce alcuni elementi innovativi: mantiene come protagonista Charlot il Vagabondo e gli  mette al fianco una compagna di cui s’innamora, ma lo colloca in un sistema sociale antagonista, perché istituzioni e individui gli rendono la vita difficile e ostacolano la realizzazione dei suoi desideri; usa un senso del comico fortemente caratterizzato da invenzioni visive e spesso innescato in un contesto sociale popolato  da personaggi e oggetti che interagiscono con il protagonista; esalta il messaggio finale che esorta a non arrendersi mai nonostante il futuro dei due protagonisti rimanga ancora incerto. Quindi il film appare fortemente ancorato alla realtà sociale e risulta più innovativo per l’introduzione quegli elementi che appaiono una risposta alle critiche rivolte a Chaplin di essere troppo sentimentale e politicamente irrilevante. Un tema dominante è l’alienazione dell’operaio-massa legato alla catena di montaggio che riduce l’individuo a un anello debole della struttura sociale. Al posto della solita borghesia arrogante e prepotente, viene introdotta la figura del proprietario della fabbrica Electro Steel Corp, che diventa un tipico antagonista occupato a fare puzzle e a leggere fumetti, ma anche impegnato a spiare i suoi dipendenti con gli schermi collocati nella fabbrica, a far aumentare sadicamente la velocità della catena di montaggio per raggiungere la massima produttività.

Nella sua tradizionale poetica Chaplin inserisce altre tematiche sociali che riflettono le aspirazioni di due esseri comuni come Charlot e Monella, i quali vorrebbero uscire dalla loro condizione di vagabondi senza un ruolo sociale per avere una casa comoda, cibo in abbondanza, un lavoro dignitoso e la possibilità di amare. Charlot ritrova se stesso e gode di momenti di felicità quando incontra Monella e quando può esprimersi liberamente come cantante e ballerino, per cui Chaplin sembra voler indicare che solo l’arte e l’amore possono essere le soluzioni capaci di esorcizzare l’alienazione e l’emarginazione dell’individuo nella società moderna. In questa visione trova una giustificazione quel finaledi forteintensità poetica che vede i due compagni di viaggio, consapevoli della propria fragilità e sostenuti solo dai loro sentimenti, cercare la salvezza incamminandosi verso un incerto orizzonte che tuttavia infonde loro la speranza di ricominciare a vivere con una ritrovata dignità. Tempi Moderni è un capolavoro, perché risulta essere un mix perfetto di generi cinematografici, un’esemplare miscela di elementi comici e drammatici, un’opera complessa e affascinante prodotto dalla genialità di un artista universale che il critico cinematografico Giovanni Grazzini ha così definito: “Aveva nel sorriso il pianto del mondo e nelle lacrime delle cose faceva brillare la gioia della vita. Toccato dalla grazia del genio era il guanto rovesciato della nostra civiltà, il miele e lo schiaffo, lo scherno e il singhiozzo, era il nostro rimprovero e la nostra speranza di essere uomini. Testimone universale commosse e rallegrò i cuori di tutte le razze e latitudini, ovunque si celebrasse il processo all’iniquità, alla presunzione, al cinismo dei ricchi e dei potenti, ovunque dal dolore potesse scaturire la protesta del debole sopraffatto e il riscatto dell’umiliato” (Il Corriere della Sera, 17 dicembre 1977).