Intervista allo scrittore Fabio Iuliano


a cura di Veronica Otranto Godano

10 Mag 2018 - Libri

“Un uomo è a letto in una stanza senza porta…si sente ancora vuoto come il soffitto che sta fissando. È vivo, ma non sente assolutamente niente”. È così che si sente Simone, il protagonista di Lithium48, il personaggio nato dalla penna di Fabio Iuliano, giornalista, insegnante di lingue, scrittore che, dopo il viaggio di Federico Garcia Lorca, al centro del suo primo libro, affronta il cammino di Simone cui affida molto di se stesso, dai gusti musicali ai ricordi d’infanzia. Simone respira, non sente più nulla, se non la musica nelle sue orecchie, come quella dei Pearl Jam che rappresenta una costante della sua vita.
Lithium48 è un concentrato di nervosismo istruttivo che analizza in maniera semplice e diretta un cambio generazionale d’inizio millennio basato sulla paura mista al desiderio. Siamo nel 2002 a Parigi. Il mondo si è lasciato da poco alle spalle il Millenium Bag e l’11 settembre. Simone, 23 anni, giornalista anche lui e appassionato di musica, non ricorda gli ultimi 2 giorni nella capitale francese il quale cerca di ricostruire da un lettino dell’ “Espace Maison Blanche”, una casa di cura. Solo un particolare: è convinto che le telecamere lo perseguitino.

I romanzi distopici fanno parte di un filone letterario sempre più apprezzato. Ce n’è qualcuno al quale lei si è ispirato?
Per costruire la vicenda, il mio punto di riferimento è stato 1984 di George Orwell, ma ammetto che la mia mente ha ripercorso un po’ tutta l’evoluzione del genere distopico che affonda le radici ne I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift. Nell’opera del 1726 abbiamo una descrizione distopica della realtà, una visione del mondo direi cinica e spietata attraverso la quale l’autore denuncia, alla stregua di Lithium48, la crisi della cultura occidentale. In tempi più recenti, con Orwell, s’insedia l’idea che la società sia dominata sempre di più da un’ideologia. Un grande occhio, quello del Grande Fratello, che in quel caso è rappresentato dalla dittatura. Ma The Big Brother, oggi, è la personificazione del dominio tecnologico che finisce per invadere ogni campo esistenziale degli uomini condizionando, in primis, la società e limitando di fatto i contatti tra le persone.

Il tema del viaggio è ricorrente nelle sue pubblicazioni. Cosa le ha lasciato l’avventura di Federico Garcia Lorca e quella di Simone?
Premesso che il mio primo libro è un saggio sulla figura dello scrittore spagnolo, posso dire che in entrambi emerge il desiderio di raccontare non il come, ma il perché delle cose. Sono un cronista. Ho bisogno di sentire, di toccare con mano quello che poi trasformo in parola. Ho raccontato il terremoto dell’Aquila, sono volato in Spagna per percepire lo spirito di Garcia Lorca e ho creato il personaggio di Simone ispirato a un soggetto che conobbi durante il mio periodo parigino.

In Lithium48 cita la figura di Mary Poppins. Cosa la colpisce di questo personaggio?
Da piccolo guardavo Mary Poppins, è una figura che mi accompagna da sempre. Tutti, in fondo, potremmo essere dei Mr Banks da salvare, schiacciati dalla routine lavorativa e senza tempo da dedicare agli altri. Per fortuna l’uomo comprende alla fine della storia il significato della parola amore.

 Quali sono i progetti per il futuro? 
In questo momento della mia vita, faccio quello che voglio. Mi sento appagato dal mio ruolo d’insegnante presso la scuola per adulti. Scrivere è comunque un impegno. Ho impiegato 15 anni per la storia di Simone. Continuo a fare il giornalista e mi piacerebbe realizzare dei reportage in Marocco.

Una cosa che ha imparato dal mestiere di giornalista, una da quello di scrittore e d’insegnante?
Allora, il mestiere di giornalista mi ha insegnato che la verità non si baratta; quello di scrittore a leggermi dentro; l’insegnante, ad ascoltare.

Il suo libro sembra un po’ un cd, a cominciare dalla playlist che si può scaricare già dalla prima pagina. C’è una canzone che lo ispira in questo momento della sua vita?
I Pearl Jam. Sempre e comunque. E poi una canzone che scrissi a 16 anni e mezzo con Venusia Shaza Ragozzino: I can’t feel it (in Munchner Freiheit).

Un giudizio sulla tecnologia che invade il nostro tempo.
Siamo noi stessi a creare degli universi distopici, in cui si fa un uso sempre più negativo della tecnologia. Gli algoritmi di Google conoscono ormai gusti e preferenze e sono in grado di pensare al posto nostro. In Lithium48 si fa un accenno, ad esempio, ai primi programmi di messaggistica istantanea. Quindici anni dopo, si può affermare con certezza che la tecnologia sia una parte integrante della vita umana e non più accessoria, tanto da scatenare fenomeni di violenza soprattutto tra i più giovani, qualora venisse meno. Non è, dunque, così difficile pensare che un personaggio come Simone sia tanto distante da noi.

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