Esordio nella fotografia di Franco Cecchini


di Alberto Pellegrino

19 Giu 2014 - Altre Arti, Eventi e..., Arti Visive

in rosso MusiCulturaonlineFranco Cecchini per quasi mezzo secolo è stato nella città di Jesi un operatore culturale di primo piano, avendo iniziato nel 1979 a realizzare il Centro Culturale Polivalente; dal 1983 al 2011 è stato il direttore delle attività teatrali al Teatro Pergolesi e nel 2005 ha fondato il Centro Studi e Attività Teatrali Valeria Moriconi. Laureato in sociologia con indirizzo in discipline delle arti e dello spettacolo, si è sempre occupato di teatro, cinema e danza a livello professionale e ha sempre coltivato a livello personale una segreta passione per la fotografia.
Per la prima volta Cecchini esce dalla sfera del privato e presenta al pubblico la sua produzione fotografica frutto di un serio e appassionato lavoro portato avanti nel corso degli anni. Nell’osservare la sua raccolta Riflessi condizionati (Affinità elettive, Jesi, 2014) si rimane stupiti e felicemente impressionanti per la qualità di queste immagini, per cui sorge spontaneo chiedersi perché Cecchini abbia aspettato tanto nel rendere pubblico il suo lavoro fotografico nel quale, come egli dice, si riflettono “l’esercizio dell’occhio e il piacere dello sguardo, della visione”, a cui “si aggiungono ovviamente idee, emozioni, situazioni”.
La prima cosa che colpisce nelle opere fotografiche di Cecchini è la ricerca di un linguaggio fotografico il più possibile originale, ma che nello stesso tempo tiene conto di un bagaglio di conoscenze pittoriche accumulate grazie a una lunga e appassionata frequentazione con le arti visive e soprattutto con la pittura, anche se il tutto viene poi filtrato per dare “forma” e contenuto” allo specifico fotografico. La seconda impressione che si coglie da queste fotografie è la voglia di Cecchini di “raccontare” con le immagini sia un’esperienza interiore, sia un’esperienza accumulata negli anni a livello professionale, per cui tutta la sua opera può essere letta (è ancora lui a parlare) come “un’allegoria teatrale…una messinscena per immagini”.
Questa sublimata visone scenica appare evidente nella prima parte del suo percorso creativo intitolata Palco(scenici) e (In)rosso, nella quale entra ed esce in continuazione dalla realtà attraverso una serie di scomposizioni geometriche e di astrazioni, un gioco continuo di riflessi, alcune forti 2[1]esplosioni cromatiche, un disegno di luci e ombre, l’uso di esplicite citazioni metaforiche (vedi Il cielo in una stanza e La comparsa della Pigna). In questo mondo, tutto giocato tra una realtà geometrica e una estrapolazione onirica, l’elemento umano non trova posto, fatta eccezione per una sola presenza fantasmatica non a caso intitolata Un passaggio.
Nella seconda parte (De)natura e (S)viste riappare una realtà fatta di frammenti, di ombre, di “grafismi” e d’impressioni visive che mantengono un “retrogusto” teatrale: si tratta di riflessi sull’acqua, di nebbie serali, di richiami scenografici (Liberté e Spartito musicale), nei quali ancora una volta la presenza umana è fatta di ombre 001 MusiCultura on linediscrete e di apparizioni notturne. Nella terza parte, infine, ritornano in (Linee)luce giochi tra luci e ombre, sequenze di geometrie architettoniche che diventano astrazioni, dove la luce disegna percorsi quasi metafisici, apparizioni di sculture che trasmettono un’idea di metaforica umanità e che servono a introdurre l’ultima sezione (Figur)azioni, nella quale si materializzano presenze umane che non sono mai realistiche, ma appaiono sempre trasfigurate attraverso le ombre riflesse e l’uso dello “sfocato” e del “controluce”: donne, uomini, giovani e bambini che fanno la loro fugace ma pur essenziale apparizione sul palcoscenico della vita.