I misteri buffi di Ugo Dighero


di Antonio Garofalo

14 Apr 2017 - Commenti teatro

misterobuffo_locandina_musiculturaonlinePorto Sant’Elpidio – Martedì 11 aprile 2017, al Teatro delle Api, si è tornati per una serata nel Medioevo, con una guida d’eccezione. Ugo Dighero, infatti, è stato perfettamente in grado di condurre lo spettatore a spasso per una delle gremite piazze animate da giullari e buffoni.
L’attore si è esibito nella riproposta di due monologhi del compianto Dario Fo, raccolti nella pièce di teatro narrativo Mistero buffo.
Non inganni il titolo, puramente dedicatorio e simbolico: i due pezzi di bravura ripresi dall’opera di Fo sono tratti rispettivamente da Storia della tigre e altre storie (1977) e Fabulazzo osceno (1982).
Ne Il primo miracolo di Gesù Bambino, un giovanissimo Creatore si confronta con i temi dell’integrazione e dell’accettazione dell’altro già da piccolo, lasciando meravigliati i bambini che non vogliono farlo giocar con loro perché è un ugo-dighero2_mistero_buffo_musiculturaonline“Palestina” (!) e usando i suoi poteri divini in un modo che in realtà è piuttosto umano e terreno. Arriva a combinarla grossa, pietrificando con una saetta il figlio di un ricco patrizio locale, ma dopo esser stato rimbrottato dalla Madonna ridiscende a più miti consigli e si rende conto che forse la sua funzione è tutt’altra.
La bellezza di questa storia sta nell’avvicinare lo spettatore a personaggi che non hanno più un sapore prettamente biblico o agiografico, bensì straordinariamente quotidiano: la scelta linguistica di Fo è qui ripresa del tutto dal bravissimo Dighero, che con la mimica e l’impronta dialettale fa risplendere l’autenticità e la spontaneità del dettato protoevangelico.
Di tutt’altro argomento si parla ne La parpàja topola, gustoso eufemismo popolare che indica le pudenda femminili. Fo trasse il monologo da una rielaborazione di alcuni divertenti racconti medievali francesi di argomento licenzioso, i fabliaux (traducibile all’incirca come “favolelli”). In uno di questi si racconta la storia di Giovan Pietro, un giovane e sempliciotto pastore al quale è stato inculcato il terrore del genere femminile. Il ragazzo riceve una cospicua eredità e cade vittima delle trame dell’astuto don ugo-dighero_mistero_buffo_musiculturaonlineFaina, un prete che ha una relazione con la piacente Alessia. La madre della fanciulla, dal proverbiale nome di Volpassa, intima al sacerdote di chiudere la storia con la figlia o, in alternativa, di trovarle almeno un buon partito. Da qui si susseguono a ritmo serrato scene di grande comicità, che terminano in una disperata ricerca della parpàja topola del titolo da parte del povero Giovan Pietro, ormai novello sposo di Alessia, e con la tenera pietà di quest’ultima nei confronti del protagonista.
A conclusione della serata, l’egregio talento artistico di Dighero ha deliziato il pubblico mitigando lo spirito mordace e godereccio dell’ultima storia e introducendo un momento di riflessione. Una sua personale lirica (Ho deciso di esportare una merce nuova) racchiude il messaggio fondamentale diretto alle pseudodemocrazie odierne, in cui vige il motto “La guerra non c’è più / Io ti dichiaro pace”. Da ultimo, due esercizi di stile alla Queneau, Solo e Minigrill Rimini-Bari, che abbinano con gusto sapiente risata e versi monovocalici.
La poesia, la raffinata ironia e il racconto faceto sono la cifra che suggella, in definitiva, questo interessante approccio a quello che a buon diritto si può definire un classico contemporaneo.

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