Fantastici concerti al Festival della Valle d’Itria 2020


di Andrea Zepponi

12 Ago 2020 - Commenti classica, Musica classica

Abbiamo seguito 3 dei concerti del Festival della Valle d’Itria 2020 al Palazzo Ducale di Martina Franca con personalità insostituibili nel panorama del belcanto attuale: Sara Mingardo, Francesca Aspromonte, Jessica Pratt, Xabier Anduaga, Anna Caterina Antonacci.

A coronare la tematica dell’Arianna a Nasso di Straussal Festival della Valle d’Itria, tre concerti seguiti al cortile del Palazzo Ducale di Martina Franca sono stati il degno corollario di una programmazione ricca di personalità insostituibili nel panorama del belcanto attuale. L’occasione per premiare una veterana del canto barocco come il contralto Sara Mingardo con il Premio Rodolfo Celletti 2020, è stata quella del Concerto barocco il 29 luglio con il M° Francesco Cortialla testa dell’ensemble barocco Il pomo d’oro. Il tema mitologico dell’abbandono, derivato dalla vicenda di Arianna, ha permeato il programma che ha alternato brani strumentali a brani vocali. Lungi dall’essere un recital della sola Mingardo, nella sequenza del programma, il concerto è stato soprattutto alternanza e intreccio del grande contralto veneziano con l’ensemble con il soprano Francesca Aspromonte.Il virtuosismo barocco della signora Mingardo verte soprattutto sul versante dello stile e dell’espressione: già pioniera del recupero della vocalità antica, il contatto ravvicinato con il massimo cultore della rinascenza del belcanto, Rodolfo Celletti, e la collaborazione con grandi direttori del settore specialistico come Eliot Gardiner e Rinaldo Alessandrini, tra i tanti altri nomi eccelsi, ne ha determinato la storia artistica fatta di profonda conoscenza del repertorio e della vocalità barocca dal primo ‘600 al ‘700 pieno:  due secoli di musica esemplati in uno squisito concerto che ha avuto per esordio la Sinfonia a 5. e a 3. si placet Salomone Rossi (1570–1630) in Sol minore dal Secondo libro delle sinfonie e gagliarde in cui l’ensemble strumentale ha subito presentato le sue credenziali dello stile antico con i tratti d’arco senza vibrato e l’uso “vocale” degli strumenti; i brani strumentali, a metà della serata e oltre, sono stati la Sinfonia n. 6 in Sol minore op. 5 di Johann Adolf Hasse (1699–1783) e il  Concerto grosso n. 6 in Mi bemolle maggiore op. 7 “Il pianto di Arianna” di Pietro Antonio Locatelli (1695–1764) in cui l’incitamento dinamico del M°Corti  dal suo posto al clavicembalo ha approfondito il profilo stilistico del concerto; sul versante vocale, il fraseggio ricco di febbrile trepidazione e le nobili linee del legato per cui è celebre la Mingardo sono risuonati ne “L’amante segreto” n. 16 da Cantate, ariette e duetti op. 2 di Barbara Strozzi (1619–1677) indi nella singolare cantata di Antonio Vivaldi (1678–1741) Cessate omai, cessate RV 684, mentre la voce del soprano rispondeva, senza particolari acrobazie, con la stessa proprietà di stile e le immagini sonore di passaggi e variazioni in “Che pietà da me chiedi?… La bella rosa” dalla Dafnedi Antonio Caldara (1670–1736) e nell’aria “Son qual stanco pellegrino” dall’opera Arianna in Cretadi Georg Friedrich Händel (1685– 1759). I tempi impetuosi presi dal direttore nella prima aria della cantata vivaldiana Ah ch’infelice sempre hanno declinato la voce della Mingardo su un versante interpretativo ancora inaudito, mentre nel duetto finale “In amoroso petto” da un’altra Arianna in Nasso di Nicola Antonio Porpora (1686–1768), le due voci di soprano e contralto si sono intrecciate in nodi voluttuosi le cui volute hanno avvolto anche il bis offerto dalle due cantanti, il duetto Pur ti miro dal finale della monteverdiana Incoronazione di Poppea. Lo stesso velluto vocale per il bis solistico della Mingardo, il  “Lamento di Didone” Thy hand, Belinda… darkness shades me da Dido and Aeneas di H. Purcell  (1659 – 1695)  che ha riaffermato la sua maestria di scolpire la parola nel canto prima di essere premiata, tra gli ingenti applausi, per mano del direttore artistico Alberto Triola e del presidente del festival Franco Punzi che ne hanno ricordato la lunga attività e l’impegno artistico.

Il secondo appuntamento è stato il Recital di Belcanto del 30 luglio affidato al soprano Jessica Pratt e al tenore Xabier Anduaga, conal pianoforteil tocco orchestrale del M° Giulio Zappa.Il fluviale programma del concerto, incentrato sul belcanto ottocentesco, ha spaziato da Rossini a Bellini e nei bis, generosamente offerti, fino a Verdi. Non era difficile immaginare quanto sarebbe stata prevalente la figura del soprano sul giovane tenore Anduaga già applaudito a Bergamo per le sue doti sorprendenti nelle donizettiane Castello di Kenilworth e Lucrezia Borgia. L’estensione di un tenore contraltino con il volume di un lirico pieno e un colore timbrato in ogni registro sono le qualità innegabili che gli si riscontrano e che vanno completate con un dominio più evidente del fiato nelle mezze voci, nella zona medio grave e una pronuncia italiana più funzionale all’emissione espressiva della parola. Anche l’italiano nel canto ha un suo aspetto idiomatico. Accostare due vocalità di diverso livello tecnico ha rischiato tuttavia di far figurare come semplice spalla del soprano il tenore che ha tuttavia le carte in regola per espugnare il trono di Florez. Esordendo con l’aria “Cessa di più resistere” da Il barbiere di Siviglia Gioachino Rossini (1792–1868) ha espresso il suo campo di azione nel belcanto di primo 800 che si carica di nuova sensiblerie rispetto al secolo precedente nella ricerca della verità espressiva. Acuti in tasca nella stretta Ah più lieto, il più felice e un’agilità naturale che vorremmo risentire più sgranata e definita per parlare di vera flessibilità belcantistica. La girandola dei nove do acutissimi non poteva mancare nella strepitosa “Ah mes amis” da La fille du régiment di Gaetano Donizetti (1797–1848) dove il tenore ha esibito tutta la sua potenza volumetrica; così nel momento meno tecnico e più espressivo in senso di verisimiglianza romantica dell’aria “Una furtiva lagrima” da L’elisir d’amoredi Donizetti, i colori della voce hanno convinto nelle dinamiche e nelle intenzioni. L’esordio della primadonna è avvenuto con l’aria “Les oiseaux dans la charmille” da Les contes d’Hoffmann Jacques Offenbach (1819 -1880): dopo le astrali acrobazie di Zerbinetta nell’Arianna a Nasso di Strauss, per l’attuale soprano assoluto del belcanto è stato uno scherzo sciorinare i couplets della bambola Olympia di cui ha riformulato le difficoltà acrobatiche sul versante gestuale con alcune spiritose gag con il pianista e girando su se stessa durante l’acuto finale. Il programma ha impegnato il soprano dal repertorio comico brillante a quello romantico belliniano con un progredire dalle astratte agilità del primo brano all’ironica ambiguità del secondo “En proie à la tristesse” da Le comte Orydi Rossini, per culminare nella larmoyante “Ah! Non credea mirarti” e nella pirotecnica “Ah non giunge uman pensiero” da La sonnambula Vincenzo Bellini (1801–1835) in cui la tensione della malinconia si scioglie nell’estasi di una gioia ancora memore dello stato di sonnambulismo. L’artista ha declinato il tecnicismo vocale sul suo formidabile registro acuto arricchendo la serata di una continua escalation verso l’approfondimento drammatico come si è visto poi negli immancabili duetti con il tenore “Chiedi all’aura lusinghiera” da L’elisir d’amore e tutta la scena “ Finì, me lassa… Vieni tra queste braccia” da I puritani, dove il tenore ha avuto una piccola defaillance nella tenuta a mezza voce del del sovracuto, ed è continuato nei bis con il monologo di Violetta da La traviata  “ È strano… Ah fors’è lui… Sempre libera” più mi bemolle sovracuto, mentre al tenore è toccata la Tarantella di Rossini “ Già la luna” e ad entrambi il gran finale del Brindisi della Traviata. I numerosi applausi finali vanno interpretati come un consenso per la prova confidenziale del tenore e l’esibizione magistrale del soprano.

Ultimo momento saliente dei concerti al Palazzo Ducale il 31 luglio è stata l’apparizione di una delle più grandi cantanti attrici dei nostri tempi, AnnaCaterinaAntonacci in un concerto dal titolo SeiNovecento. Da Monteverdi a Poulenc con musiche di Monteverdi, Charpentier, Leo, Respighi, Martucci, Strauss, Poulenc e Ravel. Il salto interpretativo dal recitar cantando seicentesco alla cameristica del Novecento senza passare per la zona musicale intermedia va inquadrato in una scelta di campo, quella di privilegiare il virtuosismo drammatico ed espressivo sul canto principalmente spianato e di bypassare il belcanto sette-ottocentesco in cui peraltro la cantante ha dato innumerevoli ed esaltanti prove nella sua lunga carriera artistica. L’impatto del suo profilo scenico è sempre notevole e la sua presenza carismatica che riflette la luce non ha perso il suo smalto nella capacità affinata di piegare la voce ad ogni inflessione, anche minima, portatrice di sensi e intenzioni. Il concerto ha offerto, accanto a quelli vocali, brani strumentali nella parte seicentesca con Antonio Greco,concertatore al cembalo e all’organo da cui ha diretto l’Orchestra Cremona Antiqua e,in quella del novecento, con Francesco Libetta alpianoforte: la Canzon Quinta a 4 di Girolamo Frescobaldi (1583-1643), la Sinfonia grave a 5 di Salomone Rossi (1570-1630), il Grave dall’Armonico tributo (Sonata Seconda) di Georg Muffat (1653-1704), indi la “Serenata per pianoforte” da Amor vuol sofferenza di Leonardo Leo (1694–1744) e la trascrizione per pianoforte solo di Walter Gieseking degli Ständchen op. 17 n. 2 di Richard Strauss (1864 –1949). Lo spiccato carattere filologico della compagine strumentale della prima parte ha dimostrato affinata intelligenza interpretativa nella varietà dei gesti ritmici e melodici, ben calibrati sulla vocalità eclatante dell’Antonacci che ha interpretato, tanto per rimanere in tema, il Lamento di Arianna, il Lamento della Ninfa, e il monologo “Disprezzata regina” da L’incoronazione di Poppea di Claudio Monteverdi (1567 – 1643) preceduto dalla Sinfonia di apertura del melodramma, con una insolita incursione nel ruolo tenorile di Orfeo nella ballata “Vi ricorda o boschi ombrosi” dalla Favola di Orfeo. Magnifica interprete della musica francese in lingua, la “cantattrice” ha dispiegato la sua abilità nel canto idiomatico d’oltralpe, per cui é apprezzatissima in Francia, con il brano “Quel prix de mon amour”, da Médée di Marc-Antoine Charpentier (1636–1704) e, poi, nella parte moderna, la vena surrealista di Francis Poulenc (1899–1963) in La Dame de Monte-Carlo e Les chemins de l’amour e Jeux d’eau di Maurice Ravel (1875–1937) la cui serietà interpretativa si intride della sottile souplesse che nutre la musica cameristica francese. Il tributo al novecento italiano è stato per Ottorino Respighi (1879–1936) con “Sopra un’aria antica” e a Giuseppe Martucci (1856 – 1909) con le  Tre Canzoni dei ricordi “No, svaniti non sono i sogni”, “Fior di ginestra” e “Nel folto bosco” dove la sua vocalità ibrida di mezzosoprano dal timbro sopranile nella zona medio acuta le ha offerto la maggiore tavolozza di colori vocali. Applauditissima ha elargito come bis la Habanera dalla Carmen di Bizet interpretata in curioso crescendo dinamico da un couplet all’altro.