Margaret Burke-White fotografa statunitense prossimamente a Palazzo Reale


di Alberto Pellegrino

25 Mar 2020 - Altre Arti, Eventi e..., Arti Visive

Breve ma puntuale saggio sulla fotografa americana Margaret Burke-White della quale è prevista nei prossimi mesi una retrospettiva a Palazzo Reale, a Milano.

È stato previsto per i prossimi mesi di quest’anno, nel Palazzo reale di Milano, l’allestimento di una retrospettiva della grande fotografa americana Margaret Burke-White (1904-1971) con 100 immagini provenienti dall’archivio della prestigiosa rivista Life. Sarà l’occasione per fare il punto sull’opera di una delle figure più rappresentative della storia fotografica del Novecento, che con la forza comunicativa delle sue immagini ha segnano la memoria storica del mondo, immagini che sono diventate “classiche” icone dell’immaginario collettivo.

Dotata di una forte personalità, la Burke-White in pochi anni arriva ad essere una star del fotogiornalismo americano non solo per le sue qualità professionali, ma per essere la prima fotografa che si occupa di fotografia industriale, la prima donna fotoreporter ad essere assunta da un grande rotocalco, la prima fotoreporter straniera ad avere il permesso di scattare foto nell’Unione Sovietica, la prima corrispondente di guerra donna durante il secondo conflitto mondiale, la prima fotografa a entrare nei campi di sterminio nazisti. Margaret è stata una donna che sceglie di condurre una vita turbinosa e controversa, avventurosa e spericolata in un mondo allora dominato dagli uomini senza mai mostrare complessi d’inferiorità: “In quanto donna è forse più difficile ottenere la confidenza della gente e forse talvolta gioca un ruolo negativo una certa forma di gelosia; ma quando raggiungi un certo livello di professionalità non è più una questione di essere uomo o donna”.

Gli esordi nel campo della fotografia industriale

Proveniente da una famiglia borghese di origine ebraica, inizia a studiare biologia, ma presto scopre la sua passione per la fotografia e frequenta alcuni corsi di formazione professionale. Nel 1927 apre uno studio a Cleveland e comincia a fotografare gli impianti industriali e i panorami urbani di quella città, realizzando immagini tecnicamente perfette e nello stesso tempo poetiche, che aprirono nuove prospettive alla fotografia, introducendo in America i termini di corporate photography (il reportage industriale realizzato su commissione) e photo essay (il racconto fotografico). In breve tempo Margaret conquista una grande popolarità e la stima di un guru della fotografia come Alfred Stiegliz che la considera una delle migliori fotografe del mondo e, quando Henry Luce decide di fondare la rivista Fortune, chiama lei come prima fotogiornalista.  

Negli anni Trenta la Burke-White comincia a guardare alla nuova fotografia europea, alle nuove tecniche e ai nuovi linguaggi messi a punto dal Bauhaus, da Laszlo Moholy-Nagy e dall’espressionismo tedesco, per cui scopre nuove inquadrature, ama addentrarsi nei macchinari e degli impianti industriali, che sono visti più come oggetto di bellezza che come soggetti industriali.

Agli inizi degli anni Trenta, dopo un breve viaggio nella Germania prenazista, si reca per tre volte nell’Unione Sovietica attratta da un paese di contadini ora in profonda trasformazione a causa di una massiccia industrializzazione. I sovietici vedono in lei la persona capace di documentare quel momento storico e Margaret rivede la sua concezione del rapporto macchina-uomo, perché scopre il lavoratore come protagonista, inaugurando una nuova fase della sua fotografia intesa come documento sociale.

La conversione alla fotografia sociale

Ritornata negli Stati Uniti, rivolge la sua attenzione alla Depressione e al New Deal, per cui decide d’impegnarsi nel campo sociale soprattutto per documentare le condizioni di povertà del sottoproletariato del Sud con una serie di straordinari reportage: “La siccità mi fece aprire gli occhi e capire che proprio qui, nel mio paese, c’erano mondi di cui non conoscevo praticamente nulla”. Successivamente realizza dei reportage a sfondo sociale in Messico e in Brasile.

Questo suo nuovo impegno coincide con una nuova intuizione di Henry Luce, che nel 1936 fa uscire la rivista Life basata essenzialmente sull’uso della fotografia: “Dobbiamo insegnare alla gente a prendere sul serio le fotografie…Dobbiamo far vedere la vita, essere testimoni oculari dei grandi avvenimenti”. La Burke-White diviene la principale interprete di questa nuova “filosofia” e i suoi reportage contribuiscono in pace e in guerra al successo del settimanale che arriverà a vendere 40 milioni di copie.  Margaret realizza per il giornale straordinari servizi nell’Artico (1937) e nella Cecoslovacchia prima e dopo l’invasione nazista (1938).

I reportage di guerra e gli ultimi lavori come fotogiornalista

Con la seconda guerra mondiale iniziano i suoi reportage di guerra in Egitto (1940) e in Russia (1941), dove documenta il primo bombardamento tedesco su Mosca. Dal 1942 al 1945 è al seguito dell’esercito statunitense in Africa del Nord e in Italia, prima a Napoli poi sulla Linea Gotica. In Germania, al seguito delle truppe, documenta gli effetti dei bombardamenti alleati su Colonia e Norimberga. È la prima fotografa a scattare immagini drammatiche nel campo di sterminio di Buchenwald e a documentare la cattura o il suicidio di gerarchi nazisti.

Terminata la guerra, la sua attività di fotogiornalista non si arresta: nel 1946/1947 realizza eccezionali reportage in India (con le celebri immagini di Gandhi) e in Pakistan. Negli anni Cinquanta è presente in Sud Africa, dove documenta le tragiche condizioni di lavoro dei lavoratori di colore nelle miniere d’oro e il dramma dell’apartheid. Durante la guerra di Corea si trova ancora sul fronte per realizzare immagini di crudo e impressionante realismo.   Rientrata negli Stati Uniti, servendosi di un elicottero, scatta una serie di fotografie dall’alto che anticipano il movimento della Land Art e questo sarà purtroppo il suo ultimo lavoro, perché “Maggie l’indistruttibile”, come la chiamavano i soldati in Corea, viene aggredita dal morbo di Parkinson che gli impedirà di lavorare e la consumerà fino alla sua scomparsa, avvenuta nel 1971 in un ospedale del Connecticut.