“Le Lotte e l’Utopia del ’69/’70” a Roma


di Francesco Pascali

11 Nov 2019 - Commenti cinema

Si chiude a Roma la rassegna sul progetto e le forme di un cinema politico “Le Lotte e l’Utopia del ’69/’70”, promossa dall’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico e dalla Fondazione Gramsci.

Nel segno dell’Autunno caldo del 1969 si è svolta la terza edizione del progetto e le forme di un cinema politico, promossa dall’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico e dalla Fondazione Gramsci, in collaborazione con la Casa del Cinema, il CSC e le tre università pubbliche di Roma. La rassegna, svoltasi a Roma tra il 4 e il 9 novembre, tra la Casa del Cinema e il Cinema Farnese, ha proposto la proiezione di 20 film, realizzati tra il ’69 e il ’70 o comunque incentrati sul tema delle lotte di quegli anni, e due seminari. A fare da preambolo all’iniziativa, un’interessante giornata di studi, durante la quale sono intervenuti Giovanni Spagnoletti, Carlo Casula, Luciana Castellina, Ermanno Taviani, Emiliano Morreale, Marco M. Gazzano, Antonio Medici, Maurizio Zinni, Paolo Carusi, Alma Mileto, Damiano Garofalo e Renato Parascandolo. L’obiettivo è quello di far conoscere, soprattutto ai giovani, il vero significato di quella ribellione che costituisce un passaggio essenziale della storia, italiana e mondiale: dopo quegli eventi infatti il Paese non è stato più lo stesso.

Autunno caldo significa profonde trasformazioni nell’economia, nei modi di pensare e nei comportamenti collettivi: è il momento culminante dell’epoca delle azioni collettive, tanto da diventare elemento costitutivo dell’identità di un’intera generazione. Significa la fine delle gabbie salariali e della diversità delle ritribuzioni per uguali mansioni tra uomini e donne, a fronte dei valori di uguaglianza e parificazione salariale. Significa la presenza attiva dei giovani operai, gli operai massa, privi di una specifica qualifica professionale, che provenivano quasi sempre da universi non urbani (come il Mezzogiorno) e si imbattevano in un mondo nuovo, diventando il nervo dei nuovi sindacati operai. L’operaio occupa quindi la scena pubblica, divenendo una figura simbolo dell’immaginario collettivo, e, dopo aver conquistato le piazze, occupa anche gli schermi cinematografici. Diventa un elemento simbolico del cinema italiano di quegli anni e si ritrova in molti film di genere, come quello fantascientifico, di cui si ricordano pellicole più pop (La decima vittima di Elio Petri, 1965), e film fantastorici più crudi (Sotto il segno dello scorpione di Paolo e Vittorio Taviani, 1969). Il cinema italiano di quegli anni vuole analizzare la realtà e la trasfigura, affrontando il tema delle apocalissi, delle distopie sociali e degli incubi tecnologici per compiere una denuncia del presente. Sviluppa una lotta contro la censura, che alla fine del decennio arriverà a compimento: i costumi si stanno evolvendo rapidamente ma le istituzioni restano indietro. Il rapporto con il progresso, messo in luce da un film come NP: il Segreto di Silvano Agosti, rinvia alla fascinazione, tutta materialistica, per la tecnologia, che ha caratterizzato lo sviluppo capitalistico. Il rapporto con le società e le istituzioni, declinato da I cannibali di Liliana Cavani (1969), si lega all’idea di Stato come strumento in mano a un gruppo elitario di persone che gestisce il potere con lo scopo di preservarlo. Emergono poi i rapporti con la famiglia, cellula alla base dello Stato, e il profondo pessimismo di fondo che caratterizza tutte le pellicole di quegli anni, in particolare Il seme dell’uomo di Marco Ferreri.

La sinistra cinematografica reagisce alla strategia della tensione e allo stragismo, e porta alla formazione di un comitato di cineasti contro la repressione, che riunisce i giovani e i più anziani, tra cui Luchino Visconti. Da questo comitato nascono Giuseppe Pinelli di Nelo Risi e Ipotesi sulla morte di Giuseppe Pinelli di Elio Petri e Ugo Pirro. 12 dicembre, diretto da Bonfanti, realizzato a partire da una collaborazione tra Pasolini e Lotta Continua, esprime la visione dell’estrema sinistra su Piazza Fontana. Grande spazio hanno infatti anche i documentari, permeati dal fermento e dalle lotte che contraddistinguono il biennio. Emerge una dimensione epica di questa stagione da un film come Contratto di Ugo Gregoretti, documentazione del rinnovo del lavoro dei metalmeccanici, che si avvale di una acuta capacità analitica di come la classe operaia abbia influito nella formazione della nuova società italiana. Con un particolare interesse alle forme di comunicazione. Inoltre, proprio in quegli anni, l’Unitelefilm promuove l’iniziativa del “Terzo canale”, un ulteriore canale di informazione che si propone di raccontare quello che non veniva trasmesso dai canali ufficiali, facendo emergere quanto le condizioni di sfruttamento e la durezza della disciplina di fabbrica incidessero sulla figura operaia. Il 1969 ha anticipato, secondo Marco Gazzano, attraverso i suoi eventi i nostri futuri, contribuendo a conferirgli un senso. E il cinema si inserisce in questa grande stagione, raccontando storie che partono dalla Storia: da un lato la continuazione del Sessantotto studentesco, dall’altro le utopie di una aspettativa di un futuro diverso. Se la stagione dei miti collettivi si è oggi esaurita, questo cinema resta e ci sa raccontare senza retorica quello che è stato l’Autunno caldo, facendo emergere perchè quella presa di parola ribelle abbia reso protagonista un’intera generazione.

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