Uno straordinario “Macbeth” allo Sferisterio di Macerata


di Alberto Pellegrino

6 Ago 2019 - Commenti classica, Musica classica

Questo “Macbeth” allo Sferisterio ha illuminato la stagione 2019 del Macerata Opera Festival. Un evento teatrale a tutto campo, dalla regia di Emma Dante agli interpreti musicali.

Questa opera ha illuminato la stagione 2019 di Macerata Opera Festival per merito del progetto registico e della messa in scena che devono essere considerati un grande evento teatrale. Emma Dante è una straordinaria donna di teatro che, come commediografa e come regista, sta dando un notevole contributo al mondo italiano della prosa dal punto di vista sostanziale e formale. Nel 2009 ha debuttato nel mondo della lirica con la bellissima Carmen andata in scena al Teatro della Scala, spettacolo che una parte del pubblico milanese, ottusamente legato alla tradizione, non ha gradito. Per un decennio Emma ha centellinato le sue regie operistiche fino ad arrivare due anni fa a mettere in scena questo Macbeth di Giuseppe Verdi che ha trionfato a Palermo, Torino ed Edimburgo prima di approdare a Macerata ed essere adattato ai grandi spazi di questo palcoscenico.

Emma Dante, forte della sua esperienza teatrale, è partita dal teatro scespiriano della parola per arrivare alla musica di Verdi e al libretto di Francesco Maria Piave, per riportarne fedelmente sulla scena, pur nell’innovazione dell’impianto registico, tutti i particolari nei loro minimi dettagli in una perfetta corrispondenza tra spartito musicale e testo, tra quanto accadeva sulla scena e quanto era enunciato dai cantanti: la sfrenata ambizione e la crudeltà della coppia regale, la sua sete di potere capace di provocare una inarrestabile serie di catastrofi e delitti, il nero mondo della magia e della stregoneria che finisce per incidere rovinosamente sui protagonisti: tutto in un perfetto equilibrio tra musica e dramma, tra suggestioni scespiriane e verdiane, senza mai dimenticare che la regia deve farsi guidare dalla musica e dal canto che rimangono alla base di ogni melodramma.

A creare le giuste atmosfere hanno certamente contribuito altre componenti dello spettacolo: le essenziali scenografie di Carmine Maringola, irte di punte di lancia ed estremamente mobili capaci di trasformarsi in ambienti chiusi e all’aperto, in troni, scale e gradinate per la corte; le luci sapientemente dosate e puntualmente narrative di Cristina Zuccaro; i costumi di Vanessa Sannino capaci di creare atmosfere atemporali, ma anche di citare una barbarica età del ferro, di richiamare certe sottili eleganze alto medievali e persino rinascimentali nella concitata, fremente e drammatica festa di corte. Per quanto riguarda la foresta di Birman la Dante si concede un’unica divagazione per fare un omaggio alla sua Sicilia, sostituendo gli alberi con una barriera di fichi d’India, simbolo di una natura altrettanto selvaggia e pericolosa, capace di creare queste verdi foreste irte di spine dolorosissime e perfino mortali.

Lo spettacolo, pur nella sua coerenza unitaria, ha alcuni punti di forza che raggiungono l’eccellenza. Il primo sabba delle streghe, nel quale si profetizza il destino di Macbeth, è interpretato da mimi-danzatori di grande bravura, i quali danno vita a una danza sfrenata che si trasforma in un’orgia dove uomini-satiri fecondano le streghe. Il monologo del pugnale si anima per la presenza di due attori che agiscono come il “doppio” di Macbeth e Duncano. I funerali del re assassinato sono segnati da una profonda pietas, durante i quali il corpo del sovrano assume pose del Cristo sofferente dopo la deposizione dalla croce a sottolineare come Duncano sia stato l’innocente vittima sacrificale destinata a saziare la sete di potere dei due futuri sovrani. Il secondo sabba è animato dalle streghe gravide che partoriscono sulla scena: “Le streghe generano la vita, – dice Emma Dante – le generazioni che succederanno alla barbarie di Macbeth. Non a caso, nelle profezie si parla di vita e d morte; è la loro essenza femminile a metterle in grado di predire il futuro, di osservare dentro di sé la vita che verrà”; toccherà agli uomini-fauno raccogliere e cullare questi neonati simbolo di speranza nel futuro. La grande scena della sonnambulismo e della follia vede Lady Macbeth circondata da letti che l’assediano e la incalzano per ricordarle con le loro macchie di sangue il suo delitto. Alla fine Macbeth paga con la morte i suoi delitti, prima circondato poi sepolto sotto la selva di spade. Il cerchio si chiude nel sangue così come nel sangue tutto era cominciato. Al successo dell’opera ha evidentemente contribuito la vigorosa direzione del M° Francesco Ivan Ciampa che ha guidato con mano sicura l’Orchestra Filarmonica Marchigiana; pari efficacia ha espresso il Coro Lirico Marchigiano “Bellini” ben diretto dal M° Martino Faggiani. La drammaticità dello spartito verdiano è stata messa pienamente in evidenza anche per la presenza di un cast d’interpreti di sicuro valore a cominciare dal soprano Saioa Hernández che è stata una Lady Macbeth possente ed elegante, che ha saputo dare colore e spessore alla cinica Lady della congiura e del trono, alla tragica e tormentata Lady del finale. L’esperto baritono Roberto Frontali è stato assolutamente in parte, riuscendo a trasmettere tutte le sfumature e i vari passaggi della complessa personalità di Macbeth. Alex Esposito (Banco), Giovanni Sala (Macduff) e Rodrigo Ortiz (Malcom) sono stati all’altezza dei loro personaggi per potenza e intensità di voce.

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