“Civitanovadanza” continua a far sognare, eppure…


di Elena Bartolucci

23 Lug 2019 - Commenti danza, Danza

La nuova edizione 2019 di “Civitanovadanza” adotta la solita formula e continua a proporre spettacoli di altissimo livello alcuni dei quali apprezzati forse solo dagli addetti ai lavori.

Civitanova Marche – Sabato 13 luglio ha avuto inizio il Festival nel festival dell’edizione 2019 di Civitanovadanza, articolato come sempre in tre tappe importanti di una vera e propria maratona fino a tarda notte per i teatri principali della città.

BALL – photo Ernest Potters

Si parte con la prima italiana di Ball del coreografo Guilherme Miotto, un trio per uomo, palla e spazio, che “celebra il coraggio e la bellezza di tutto ciò che può essere raggiunto solo attraverso la lotta”. Il performer Nasser El Jackson diventa dipendente dalla palla e per lunghi istanti all’inizio si percepisce attraverso la sua apparente immobilità la reale difficoltà di dover riuscire a prendere una posizione nei confronti di quell’oggetto, con cui stabilisce piano piano un legame indissolubile. Le movenze apparentemente semplici e incontrollate e i leggeri cambiamenti di postura sembrano voler rappresentare un calciatore alle prese con dei tiri in porta, ma sono i virtuosismi con la palla che riescono a conquistare il pubblico in sala consacrando definitivamente il performer come danzatore. L’aspetto più penalizzante potrebbe sembrare l’assenza della musica, anche se è davvero straordinario come i lunghi sospiri del danzatore e il rumore dei passi e della palla riescano comunque a creare un particolare ritmo e una particolare atmosfera sul palco. Il suono dello spettacolo è curato da Joel Ryan per una produzione di Corpo Máquina e unacoproduzione DansBrant, Ballet National de Marseille e Festival Boulevard.

La seconda tappa al teatro Cecchetti vede invece protagonista la Compagnia Nazionale di Danza di Malta in Voyager, una prima italiana ispirata all’omonima sonda spaziale della NASA.

Quarantuno anni fa, l’astronomo e astrofisico americano Carl Sagan ha avuto l’idea di inviare una capsula del tempo, contenente suoni, sentimenti e pensieri della Terra attraverso 116 immagini codificate in forma analogica. Lanciato sulla navicella spaziale Voyager nel 1977, il Golden Record, placcato in oro e con custodia in alluminio, avrebbe dovuto rimanere intellegibile per oltre un miliardo di anni. Affascinato dal lavoro di Sagan, il direttore artistico della MfinMalta National Dance Company, Paolo Mangiola, si è domandato che cosa la NASA avrebbe inviato nello spazio se avesse ripetuto lo stesso esercizio oggigiorno. Come rappresenteremmo il nostro passato, il nostro presente e le nostre speranze per il futuro? Come sarebbero gli elementi archiviati in esso? Come li selezioneremmo?

Voyager ha quindi l’intento di spingere il pubblico in un mondo di introspezione, scoperta di sé e riflessione sul modo in cui gli esseri umani trattano questo fragile pianeta chiamato Terra. Peccato però che il magnifico intento di voler rappresentare attraverso una coreografia il tentativo di comunicare la storia del nostro mondo ad eventuali forme di vita extraterrestri non sia così lineare come la spiegazione data in parole dal suo stesso ideatore: “in definitiva il pezzo aspira a offrire una piattaforma per contemplare la preziosità della vita e quanto questa sia complessa e unica”. La coreografia è firmata da Paolo Mangiola, in collaborazione con i bravissimi danzatori Tara Dalli, Mathilde Lin, Keith Micallef, Nicola Micallef, Stefaan Morrow, Abel Hernández González, Thibault Rousselet, Simon Van Heddegem ed Emma Walker.

La partitura originale è di Veronique Vella, sulle musiche tratte dal Voyager Golden Record:I suoni della Terra in 55 lingue diverse, Thakrulo, Gerogian Soll, Man’s house song Papua New Guinea, String Quartet No 13 in B Flat Major e Ludwig van Beethoven. Il disegno luci, minimale ma dai tratti incisivi, è di Ismael Portelli mentre i costumi sono di Luke Azzopardi.

SUITE ESCAPE – foto di Stefano Sasso

Come al solito il Festival nel festival è giunto poi al termine al Teatro Annibal Caro con lo spettacolo più coinvolgente e meglio strutturato della serata ossia la prima assoluta (progetto di residenza) intitolata Suite escape – Fuga dal passo a due di Riccardo Buscarini. Un delizioso quartetto danzante (Serena Angelini, Nicola De Pascale, Salvatore Leccese e Silvia Sisto – Equilibrio Dinamico) basato sulla selezione di alcuni pas de deux del repertorio classico le cui partiture musicali di Pëtr Il’ič Čajkovskij, Ludwig Minkus, Adolphe Adam e Daniel Auber (con trascrizione e rielaborazione musicale curate dal M° Silvestro Sabatelli) sono state magnificamente eseguite dal vivo dal pianista M° Benedetto Boccuzzi  e allo stesso tempo rivisitate, smontate e giustapposte in una chiave personale e inedita.

Suite Escape è un’indagine coreografica, in cui l’unione sospirata e attesa tra i protagonisti o il dramma dell’impossibilità di rimanere assieme assumono contorni distorti nonostante i danzatori cerchino sempre di restare all’interno del perimetro quadrato disegnato a terra. I corpi si muovono sinuosi e si intrecciano in movimenti fluidi, dando vita a una sorta di botta e risposta, quasi a rappresentare più una vera e propria fuga dall’altro che compimento di un gesto armonico. “Il movimento diventa […] mezzo di negoziazione, e il passo a due un momento di opposizione tra la volontà individuale e quella del gruppo. Si indaga sulla fuga e sul vuoto generato dall’assenza, un volume che può essere colmato dal desiderio o uno spazio potenziale in cui riconfigurare la propria indipendenza”.

Il concept e la coreografia portano la firma di Riccardo Buscarini, mentre illighting design è di Roberto Colabufo e i costumi minimali ma davvero eleganti sono di Francesco Colamorea.

In attesa de La notte della stella conil danzatore Sergei Polunin, sabato 20 luglio è stato invece il momento del Balletto di Roma che ha dato inizio ai festeggiamenti dei suoi 60 anni esibendosi in una prima assoluta dal titolo Io, Don Chisciotte.

Un appuntamento di grande prestigio al Teatro Rossini dato che ha rappresentato il ritorno del famoso coreografo Fabrizio Monteverde, esponente di una generazione di talenti esplosa negli anni Novanta, che si è riaffacciato sulla scena rileggendo in chiave coreografica un’altra pagina della letteratura mondiale: l’omonimo capolavoro di Cervantes. Il filo narrativo delineato dal Balletto di Roma non ha una struttura ben definita e si fatica a cogliere effettivamente gli elementi che Monteverde ha voluto inserire nella sua nuova coreografia per descrivere il suo Don Chisciotte, riconoscibile nel profilo del danzatore solo nella scena finale. Un uomo che tenta di combattere contro i mulini a vento del suo tempo ossia una lotta “che diventa metafora della ricerca di un’identità, di quella persa dell’uomo fuori dal tempo, guerriero che combatte una guerra già finita”.

“[…] con il suo sguardo strabico sulla realtà, conquista la gloria attraverso avventure sconnesse e poco calcolate, imponendo la propria illusione sulla realtà con eroico sprezzo del ridicolo: elemento disturbante e artefice del caos, in fondo ci dimostra che ogni cosa, ogni persona è sempre altro da quello che dice di essere. L’errore è verità e la verità è errore in una società che, soprattutto per un Don Chisciotte poeta, folle, mendicante come quello immaginato da Monteverde, è alla rovescia. Il mondo, del resto – così come la scena – è sempre diverso in base al punto di vista da cui lo guardiamo e la verità si manifesta solo nella libertà di muoversi al suo interno, una libertà incondizionata che testimonia l’inseguimento di un sogno, la ricerca del proprio io bambino, il desiderio infinito di amare”. Il protagonista incarna la pazzia e la doppiezza, ma soprattutto la “con-fusione” degli opposti, e non sembra riuscire a trovare la sua vera dimensione, seppur riconosce e vuole mantenere la sua personalità senza omologarsi alla massa. L’unico elemento scenografico presente sul palco è il rottame di una macchina abbandonata, che simboleggia i tempi contemporanei in cui è stato ambientato il balletto, che viene rivoluzionato soprattutto grazie a un sapiente uso di luci calde e fredde.

Nel complesso si è assistito a un lavoro di elaborazione stilistica e drammaturgica di notevole spessore firmato in modo unico e riconoscibile nella coreografia, nella regia e nelle scene da Monteverde. Unica nota dolente dello spettacolo sono stati i ballerini maschili che hanno spesso commesso qualche imprecisione nelle scene di gruppo e in diversi passi a due, in cui le linee e la sincronia dei movimenti è venuta a mancare in modo piuttosto evidente. Le musiche sono di Ludwig Minkus e artisti vari, icostumi portano la firma di Santi Rinciari, mentre il notevole lavoro di light design è di Emanuele De Maria.

Anche quest’anno, grazie al sostegno del Comune di Civitanova Marche con l’Azienda Teatri di Civitanova, l’AMAT, la Regione Marche e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, il XXVI festival internazionale di Civitanova Danza ha confermato l’altissimo livello raggiunto con un cartellone davvero molto ricco e articolato tentando di far emergere un senso di onnicomprensività dello sguardo per i diversi stili e linguaggi con cui la danza si esprime. Peccato il calo di presenze da parte del grande pubblico che suggerisce forse un ripensamento della formula, anche se, lo sappiamo…il bello ha vita dura di questi tempi!

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