Bel “Rigoletto” al Teatro Regio di Torino


di Alberto Bazzano

16 Feb 2019 - Commenti classica, Musica classica

Le prime battute della stagione 2018-2019 del Teatro Regio di Torino sono state all’insegna della musica di Giuseppe Verdi. In particolare, della sua “trilogia popolare”.
Dopo Il trovatore, a cui è stata affidata l’inaugurazione, e La traviata, è stata ora la volta del Rigoletto, presentato nella nuova produzione, realizzata dal Regio in sinergia con il Teatro Massimo di Palermo, la Shaanxi Opera House e l’Opéra Royal de Wallonie – Liège.
Atteso l’esordio operistico di John Turturro. Il regista statunitense, intento a sottrarre scenicamente Rigoletto ad ogni forma di barocchismo, si è mosso nel solco della tradizione, di cui ha enfatizzato gli aspetti minimalisti.
A coadiuvarlo nell’impresa sono stati lo scenografo Francesco Frigeri ed il costumista Marco Piemontese. Un ruolo decisivo nella raffigurazione dell’aria brumosa della bassa padana hanno svolte le luci di Alessandro Carletti.
Nell’impianto complessivo le tinte predominanti sono state quelle scure, evocative di un clima soffocante e claustrofobico, quello stesso descritto da Victor Hugo nelle pagine de Le roi s’amuse. Purtuttavia, il buio non era totale. L’oscurità compatta degli ambienti era talora attraversata da raggi di luce, intensi e penetranti, che, come in un quadro di Caravaggio o di Domenico Fetti, costringevano l’osservatore a convogliare lo sguardo verso un punto preciso della scena, un punto perlopiù occupato dalla figura del protagonista. È, infatti, intorno a Rigoletto che ruota tutta l’azione. Ogni figura del dramma dipende da questo buffone di corte.
L’ambientazione mantovana e rinascimentale della storia si evince dalla riproduzione degli ambienti del palazzo ducale e dal richiamo, sul sipario, alla Sala dei Giganti di Palazzo Te, capolavoro di Giulio Romano. I costumi, tuttavia, richiamano un’altra epoca: il Settecento, individuato come secolo di crisi e decadenza.
L’Orchestra del teatro Regio è stata diretta con mano sicura da Renato Palumbo. La sua lettura è parsa attenta alla ricchezza della dinamica, alle ampiezze e a coloriti strumentali.
Quanto agli interpreti, protagonista indiscusso è stato Carlos Álvarez nei panni di Rigoletto. Dotato di voce salda e di collaudata esperienza, ha delineato un buffone dilaniato, schiavo delle proprie contraddizioni. Nell’invettiva “Cortigiani” ha suscitato il convinto e prolungato applauso dell’uditorio. Egli non è baritono dalle mille sfumature, da cui ci si aspetta l’uso del cesello. No, di certo, in lui prevalgono le tinte forti, le esplosioni ferrigne le quali, tuttavia, soprattutto nel registro acuto, svettante e compatto, rivelano il fuoriclasse. Un Rigoletto, il suo, che guarda più al modello di Aldo Protti che a quello di Renato Bruson.
Ruth Iniesta, nei panni di Gilda, ha mostrato di possedere carattere. Ha superato onorevolmente le ardue prove disseminate sul suo percorso, disimpegnandosi bene anche nel “Caro nome”, puntellato, nella cadenza, da un mi bemolle sopracuto.
Il Duca di Mantova era impersonato dal tenore rumeno Stefan Pop, sicuro e spigliato sulla scena come giustamente si conviene ad un libertino di tal fatta.
La voce è piena, fragrante e mostra un peso specifico che apre alla possibilità di un’evoluzione verso ruoli più onerosi. Ma tali qualità, purtroppo, sono confinate nel medium. Appena la voce ascende, infatti, retrocede, si infiochisce e perde di squillo. Per conseguenza, la gamma nel suo complesso appare disomogenea.
Giustamente cupo e spaventevole è stato lo Sparafucile di Gianluca Buratto,armato di un registro inferiore ampio e sicuro, di cui ha dato eloquente prova a conclusione dell’incontro con Rigoletto nel primo atto dell’opera. Centrata nella parte, la Maddalena di Carmen Topciu.
La compagnia era completata da Carlotta Vichi (Giovanna), Alessio Verna (conte di Monterone), Paolo Maria Orecchia (Marullo), Luca Casalin (Matteo Borsa), Federico Benetti (conte di Ceprano), Claudia De Pian (contessa di Ceprano), Riccardo Mattiotto (un usciere), Ashley Milanese (Il paggio della duchessa).

 

 

 

 

 

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