“Pueblo” il nuovo spettacolo di Ascanio Celestini


di Alberto Pellegrino

4 Dic 2017 - Commenti teatro

Pueblo è un’ulteriore prova di quel teatro di narrazione che ha in Celestini il suo maggiore rappresentante, un lavoro che nasce da un’approfondita ricerca fatta dall’autore il quale è partito da un lungo titolo provvisorio di Che fine hanno fatto gli indiani Pueblo? – Storia provvisoria di un giorno di pioggia. Studio per uno spettacolo e sperimentato a Bruxelles e a Parigi. Lo spettacolo definitivo ha debuttato il 17 ottobre nel Teatro Vittoria per Romaeuropa Festival 2017 ed è la seconda parte di una trilogia iniziata nel 2015 con Laika (dei precedenti spettacoli abbiamo parlato su queste pagine n.d.r.).
Ascanio Celestini racconta voci, suoni, movimenti e figurazioni che nascono come per magia dalla sua voce, guardando il mondo attraverso un’immaginaria finestra, dalla quale osserva le vite di donne e di uomini che sono fragili ed emarginati di quella vita che pulsa lungo le strade di una indifferente città. Lo scrittore-attore, in modo a volte descrittivo a volte visionario, ritorna a frequentare i luoghi da cui è solito trarre ispirazione: i bar e i supermercati delle periferie, i grandi magazzini e le abitazioni-ghetto di “35 metri quadrati calpestabili” con le finestre chiuse e le luci basse che illuminano vite indifese. I lavoratori malpagati o licenziati. Vi sono poi i marciapiedi e le strade asfaltate che possono decidere il destino di esistenze capitate lì per un appuntamento con il destino; si tratta di un confine che può fare la differenza tra esseri umani apparentemente uguali: chi va a piedi sui marciapiedi, trascinandosi dietro una vita oscura e faticosa; chi sfreccia sulla strada sulla sua bella automobile e che passa senza vedere gli altri, fiero della sua indifferenza.
Il mondo narrato da Celestini è abitato da personaggi “animati da una vita che viene raccontata solo quando accade qualcosa di estremo (furti, stupri, omicidi), mentre a me piacciono quando si tengono sul confine della notizia. In Pueblo il narratore sta alla finestra e immagina le storie delle persone senza conoscerle… Una qualunque finestra dello smartphone, del computer… una qualsiasi finestra che ti fa credere di essere al centro del mondo, mentre stai in una periferia sfigata qualunque…Da quella periferia, che vive all’ombra del mondo vero (anche se ti fanno credere che il mondo vero sei tu perché hai l’App più performante, il software più democratico), senti di essere sufficientemente protetto per dire qualsiasi cosa”.
Ascanio Celestini, un po’ cantastorie e un po’ discendente dalla Commedia dell’Arte, è ormai il poeta delle periferie urbane, di quelle periferie umane fatte di tante solitudini che messe insieme compongono un popolo. Sono le voci di un universo fatto di povertà, che vive ai margini della società del benessere, anche se è costituito da esseri umani che hanno sentimenti, pulsioni e bisogni come tutti gli altri; si tratta di personaggi che senza Celestini non entrerebbero mai nella Storia. La prima è Violetta che fa la cassiera in un supermercato: “A me la cassa mi piace… Sul seggiolino della mia cassa sono una regina in trono. I clienti depositano salami e formaggi, pasta, olio, burro e pizze surgelate, tranci di pesce africano e bistecche di montone americano, litri di alcol in confezioni di tutti i generi, vetro, plastica, tetrapack, alluminio. Io mi figuro che non sono i clienti, ma sudditi. Sudditi gentili che mi vengono a regalare le cose. Sudditi che dicono “prego signora regina prenda questo baccalà congelato, questi biscotti per diabetici. Prego prenda questo vino nel tetrapack, sono tre litri, è prodotto da qualche parte in Francia o Cina. Prego…E io dico grazie, grazie, grazie”.
Violetta sogna di essere regina di un reame popolato dalle storie feroci che hanno come protagonisti altri personaggi disillusi e traditi dalla vita, ma nella sua immaginazione anche il mondo che si trova fuori dal supermercato è un reame pieno di gente interessante che lei incontra a cominciare dal fantasma del padre che nella sua fantasia di bambina era il più bravo di tutti nello sport, sul lavoro e soprattutto nel cucinare la pasta col tonno.
La vera protagonista, quella che regge il filo di tutto il racconto, è Domenica la barbona che da sempre vive ai margini della società e che muore sulla strada davanti al bar dopo aver bevuto un cappuccino decaffeinato nell’indifferenza dei passanti che temono abbia una malattia infettiva. La vita di Domenica si srotola all’indietro da quando da bambina il padre la picchiava e le insegnava a rubare; il suo rapporto con uno zingaro di otto anni accanito fumatore che ha rincontrato da grande, che è diventato il suo amante e che ha tentato di ucciderla gettandola dalle scale per poi morire a sua volta alla stessa maniera. Ricorda quando viene rinchiusa bambina in un orfanatrofio retto da “monache bastarde” che hanno fatto prigioniero persino Dio chiudendolo in una buia cantina; infine l’incontro con Said, il nero africano amore della sua vita, che fa il facchino in un grande magazzino e che è diventato schiavo delle slot machine in bar di periferia gestito da un’ex prostituta, dove ci s’illude di vincere ma non si vince mai. Quando Said è rimpatriato, Domenica rimane di nuovo sola e muore sola, aggiungendosi all’infinità schiera di morti ignoti che si perdono nell’aria, nei fiumi, nel mare al di sotto della fascia di van Allen che circonda il nostro pianeta.
“A me interessava raccontare – dice Celestini – la storia di un luogo che normalmente conosciamo solo quando vi accade qualcosa di scandaloso, di tremendo, di violento…Invece questo posto può essere osservato semplicemente perché esiste ogni giorno e non solo quando i fatti si trasformano in notizie. Qui abitano personaggi con un’umanità molto evidente il cui tratto principale è la debolezza. Sono deboli anche quando sono violenti, sono deboli anche quando sono cattivi, sono deboli anche quando sono colpevoli… Personaggi che non hanno alcun potere e spesso stentano a sopravvivere, ma si aspettano continuamente che il mondo gli mostrerà qualcosa di prodigioso. Ci credono talmente tanto che alla fine il prodigio accade…La loro forza e la loro debolezza sono la stessa cosa, per questo, pur essendo ai margini della società vorrei che riuscissero a rappresentarla per intero”, affinché ogni spettatore possa identificarsi con un barbone o una prostituta rumena, non perché vive la stessa condizione sociale, ma la stessa condizione umana.

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